domenica 28 ottobre 2007

Cosa aspettiamo ad unirci?

La Sicilia è sotto attacco mass-mediatico. Sembra che i nemici del popolo siciliano si siano organizzati in modo tale che non passi giorno che non ci sia un attacco alla natura stessa dei siciliani: si tratti di tivù, carta stampata, o blog poco importa. Ultimo in ordine temporale è forse un post pubblicato su Rosalio.it (presumibilmente il più importante blog di Palermo) dal titolo: "Sicilia: istruzioni per chi proprio non la capisce". Un post nel quale l'autore sostiene che i peggiori nemici della Sicilia siano proprio i Siciliani. Potete immaginare il tenore dei commenti, in quello che sembra profilarsi sempre più come il blog dell'antisicilianismo palermitano: attacchi all'autonomia; attacchi allo statuto "speciale" della regione; le solite citazioni di Tomasi di Lampedusa; le solite allusioni all'irredimibile tendenza alla corruzione, all'apatia, all'immobilismo del popolo siciliano.


Nei giorni scorsi si è acceso un piccolo dibattito su questo blog a proposito di divisione del mondo sicilianista per questioni di principio che si stenta francamente a comprendere. In quella occasione ho lanciato alcuni quesiti, fin'ora disattesi. Prendo spunto pertanto per rilanciarli e magari ampliarli in questo nuovo post. Rivolgo a tutti noi, blogger e non, queste semplicissime domande:

- Cosa aspettano le attuali forze sicilianiste ad unirsi e a far sentire all'unisono la voce del popolo siciliano? Cosa impedisce loro, oggi, di mettersi a capo di un movimento di liberazione della Sicilia; che la difenda a tutti i livelli e ne rivendichi le ragioni?

- Sono solo ragioni ideologiche a divedere il fronte sicilianista? (Se è così, francamente, i politici sicilianisti si trovano distanti anni luce dal sentire comune di quelli che vogliono vedere la Sicilia finalmente liberata e se ne fregano di sigle e partiti.)

- Se i motivi che dividono i sicilianisti non sono di natura ideologica, sono forse da attribuire a invidie e gelosie? (In tal caso hanno ragione quelli che credono che non siamo un popolo ma vogliamo sempre prevalere gli uni sugli altri. E allora siamo irredimibili e ci meritiano le catene.)

Voi cosa ne pensate?

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Le ideologie e il Male

Le ideologie moderne sono veramente il frutto della Ragione - scritta con la 'R' maiuscola - in contrapposizione alla Rivelazione del vangelo? La storia ci insegna l'opposto contrario.

Se è vero infatti che la Rivoluzione (un'altra 'R' maiuscola) propugna in teoria i valori di libertà, uguaglianza e fraternità, i fatti tradiscono i veri propositi dei rivoluzionari: gli ultimi due secoli di storia ci danno testimonianza delle violenze più inaudite perpetrate dall'uomo sull'uomo. La Rivoluzione francese ne fu anticipatrice, prima in seno alla nazione, col periodo del Terrore, e poi sul fronte internazionale, attraverso le campagne napoleoniche: mai prima di allora gli Stati si erano fatti guerra per fini ideologici.

Obiettivo mai nascosto delle rivoluzioni è cancellare l'ordine naturale iscritto nelle cose e nell'uomo, per costruire "un mondo e un uomo nuovi" forgiati sul modello dell'utopia ideologica, costi quel che costi, vite umane comprese. In nome della Ragione e dell'utopia, contrapposti alla Rivelazione e al realismo dell'Europa cattolica pre-rivoluzionaria, i seguaci delle ideologie moderne hanno dato sfogo alle pieghe più malefiche della natura umana, legittimando l'uso della violenza come passaggio ineluttabile verso la costruzione del nuovo ordine mondiale (leggasi a proposito il post: "Mussolini, Gramsci, l'Italia e il mito della violenza salvifica").

Dal liberalismo, al nazionalismo, dal socialismo massimalista al fascismo, dal comunismo al nazional-socialismo: un susseguirsi di dottrine politiche tutte riconducibili alla Ragione e che, nel nome della Ragione, hanno determinato i più grandi bagni di sangue che la storia mondiale abbia mai conosciuto.

Le cronache politiche dei nostri giorni, sia a livello nazionale che regionale (vedi post: "FNS: come le ideologie fotteranno il sicilianismo"), ci dimostrano che ideologie e utopie fanno - ahinoi - ancora presa su gran parte del popolo. Sembra allora quasi una coincidenza fortunata che proprio oggi, 28 ottobre 2007, il Papa Benedetto XVI ci riporti all'attenzione le terribili persecuzioni religiose avvenute in Spagna durante la guerra civile. Persecuzioni che, ancora una volta, testimoniano del Male - quello assoluto - che si nasconde dietro una visione utopico-materialistica del mondo e della vita.

Il pezzo che riproponiamo è apparso su Libero il 21 ottobre scorso ed è a firma di Antonio Socci. Buona lettura!


LA LEZIONE DEL 28 OTTOBRE...

…Ma potete star certi che in occasione della beatificazione di domenica prossima la Chiesa finirà di nuovo sul banco degli accusati…

di Antonio Socci


Il 28 ottobre prossimo in Vaticano saranno beatificati 498 martiri della feroce persecuzione religiosa esplosa in Spagna dopo il 1931 e specialmente fra il 1934 e il 1936. Una cerimonia di massa di tali proporzioni non ha precedenti. Aveva cominciato Giovanni Paolo II beatificando nel 1987 tre suore carmelitane che erano state crudelmente massacrate per le strade di Madrid. Poi papa Wojtyla celebrò altre undici cerimonie di beatificazione per un totale di 465 martiri spagnoli. Domenica prossima saranno dichiarati beati 2 vescovi, 24 preti, 462 religiosi e religiose, 2 diaconi, 1 seminarista e 7 laici, tutti vittime di quella persecuzione. Sarà l’occasione per conoscere una delle più sanguinarie tempeste anticristiane scatenate nell’Europa del nostro tempo ad opera dei rivoluzionari repubblicani (una miscela di comunismo, socialismo, anarchia e laicismo). “Mai nella storia d’Europa e forse in quella del mondo” ha scritto Hugh Thomas “si era visto un odio così accanito per la religione e per i suoi uomini”. Chiese e conventi (con una quantità di opere d’arte) furono incendiati e distrutti. In pochi mesi furono ammazzati 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi, 283 suore e un numero incalcolabile di semplici cristiani la cui unica colpa era portare un crocifisso al collo o avere un rosario in tasca o essersi recati alla messa o aver nascosto un prete o essere madre di un sacerdote come capitò a una donna che per questo fu soffocata con un crocifisso ficcato nella gola.

Molti vescovi o sacerdoti sarebbero potuti fuggire, ma restarono al loro posto, pur sapendo cosa li aspettava, per non abbandonare la loro gente. Non colpisce solo l’accanimento con cui si infierì sulle vittime, inermi e inoffensive (per esempio c’è chi fu legato a un cadavere e lasciato così al sole fino alla sua decomposizione, da vivo, con il morto).

Ma colpisce ancora di più la volontà di ottenere dalle vittime il rinnegamento della fede o la profanazione di sacramenti o orribili sacrilegi. Qua c’è qualcosa su cui non si è riflettuto abbastanza. Faccio qualche esempio. I rivoluzionari decisero che il parroco di Torrijos, che si chiamava Liberio Gonzales Nonvela, data la sua ardente fede, dovesse morire come Gesù. Così fu denudato e frustato in modo bestiale. Poi si cominciò la crocifissione, la coronazione di spine, gli fu dato da bere aceto, alla fine lo finirono sparandogli mentre lui benediva i suoi aguzzini. Ma è significativo che costoro, in precedenza, gli dicessero: “bestemmia e ti perdoneremo”. Il sacerdote, sfinito dalle sevizie, rispose che era lui a perdonare loro e li benedisse. Ma va sottolineata quella volontà di ottenere da lui un tradimento della fede. Anche dagli altri sacerdoti pretendevano la profanazione di sacramenti. O da suore che violentarono. Quale senso poteva avere, dal punto di vista politico, per esempio, la riesumazione dei corpi di suore in decomposizione esposte in piazza per irriderle? Non c’è qualcosa di semplicemente satanico?

E il giovane Juan Duarte Martin, diacono ventiquattrenne, torturato con aghi su tutto il corpo e, attraverso di essi, con terribili scariche elettriche? Pretendevano di farlo bestemmiare e di fargli gridare “viva il comunismo!”, mentre lui gridò fino all’ultimo “viva Cristo Re!”. Lo cosparsero di benzina e gli dettero fuoco. Qua non siamo solo in presenza di un folle disegno politico di cancellazione della Chiesa. C’è qualcosa di più. A definire la natura e la vera identità di questo orrore ha provato Richard Wurmbrand, un rumeno di origine ebraica che in gioventù militò fra i comunisti, nel 1935 divenne cristiano e pastore evangelico, quindi subì 14 anni di persecuzione, molti dei quali nel Gulag del regime comunista di Ceausescu.

Anch’egli aveva notato – nei lager dell’Est – questo oscuro disegno nella persecuzione religiosa. In un suo libro scrive: “Si può capire che i comunisti arrestassero preti e pastori perché li consideravano contro rivoluzionari. Ma perché i preti venivano costretti dai marxisti nella prigione romena di Piteshti a dir messa sullo sterco e l’urina? Perché i cristiani venivano torturati col far prendere loro la Comunione usando queste materie come elementi?”. Non era solo “scherno osceno”. Al sacerdote Roman Braga “gli vennero schiantati i denti uno ad uno con una verga di ferro” per farlo bestemmiare. I suoi aguzzini gli dicevano: “se vi uccidiamo, voi cristiani andate in Paradiso. Ma noi non vogliamo farvi dare la corona del martirio. Dovete prima bestemmiare Iddio e poi andare all’inferno”. A un prigioniero cristiano del carcere di Piteshti, riferisce Wurmbrand, i comunisti ogni giorno ripetevano in modo blasfemo il rito del battesimo immergendogli la testa nel “bugliolo” dove tutti lasciavno gli escrementi e costringevano in quei minuti gli altri prigionieri a cantare il rito battesimale. Altri cristiani “venivano picchiati fino a farli impazzire per obbligarli a inginocchiarsi davanti a un’immagine blasfema di Cristo”.

Si chiede Wurmbrand, “cos’ha a che fare tuttociò con il socialismo e col benessere del proletariato? Non sono queste cose semplici pretesti per organizzare orge e blasfemie sataniche? Si suppone che i marxisti siano atei che non credono nel Paradiso e nell’Inferno. In queste estreme circostanze il marxismo si è tolto la maschera ateista rivelando il proprio vero volto, che è il satanismo”.

In effetti il libro di Wurmbrand s’intitola “Was Karl Marx a satanist?” ed è stato tradotto in italiano dall’ “editrice uomini nuovi” col titolo “L’altra faccia di Carlo Marx”. L’autore si spinge, indagando negli scritti giovanili di Marx e nelle sue vicende biografiche, fino a ritenere che trafficasse con sette sataniste. Peraltro nel brulicare di sette e società esoteriche di metà Ottocento sono tante le personalità che hanno avuto strane frequentazioni. E su Marx anche altri autori hanno fatto ipotesi del genere. Wurmbrand sostiene soprattutto che la filantropia socialista non era l’ispirazione vera di Marx, ma solo lo schermo, il pretesto per la sua vera motivazione che era la guerra contro Dio. Realizzata poi su larga scala con la Rivoluzione d’ottobre e quel che è seguito (nei regimi comunisti fatti, correnti, episodi e personaggi che portano in quella direzione sono chiari).

Sul satanismo non so pronunciarmi, ma gli effetti satanici dell’esperimento marxista (planetario) sono sotto gli occhi di tutti anche se rimossi clamorosamente dalla riflessione pubblica: la più colossale e feroce strage di esseri umani che la storia ricordi e la più vasta guerra al cristianesimo di questi duemila anni. Siccome capita di sentir formulare, in ambienti cattolici, giudizi indulgenti sugli “ideali dei comunisti”, che sarebbero poi stati traditi nella pratica o mal tradotti, è venuto il momento di definire una buona volta la natura satanica dell’ideologia in sé e di tutto quel che è accaduto. Visto che un grande filosofo come Augusto Del Noce da anni ha dimostrato quanto l’ateismo sia fondamentale nel marxismo e niente affatto marginale o facoltativo. La tragedia spagnola, su cui il popolo cristiano non sa quasi niente (e che fu perpetrata anche da altre forze rivoluzionarie e laiciste) dovrebbe far riflettere, se non altro per le proporzioni di quel martirio.

Da “Libero”, 21 ottobre 2007

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domenica 21 ottobre 2007

FNS: come le idologie fotteranno il sicilianismo

Il mondo politico sicilianista è davvero deprimente. Un universo variegato ma contraddistinto da un innegabile fattore comune: il non contare niente o quasi nello scenario politico. Non bastasse ciò, è davvero demotivante constatare come questi quattro gatti si scannino per una lisca di pesce, forse per gelosia, o forse, più presumibilmente, per miseria intellettuale.

Chi scrive è mosso da profonda delusione nel constatare che le cose da noi non cambiano davvero mai, malgrado il momento di svolta storica in cui ci ritroviamo e malgrado le pressanti spinte esterne al cambiamento. Ci chiediamo veramente e sinceramente - con la delusione di chi ha creduto per un attimo nell'unità dell'universo sicilianista - a cosa servano questi indipendentisti "ottocenteschi" che si ostinano ad andare divisi e in ordine sparso verso l'appuntamento con la storia.

In un "Appello ai Siciliani di Spirito e Cuore innamorati della loro Terra", Focus Trinakria, sedicente "think tank dell'indipendentismo siciliano progressista, pacifista e democratico", in vista delle prossime elezioni provinciali, lancia accuse generiche contro i "para" sicilianisti, rei di aver proposto l'abolizione delle province - in conformità allo Statuto di Autonomia - senza avere avanzato, però, alcuna proposta "seria" in merito alla loro sostituzione.

Non sappiamo con chi ce l'abbiano esattamente, né sapevamo che esistesse già un dibattito aperto nel mondo sicilianista circa la soppressione delle province. Evidentemente i sicilianisti si credono il centro del mondo.

Oltre ai distinguo "ideologici", che hanno più il sapore di slogan di piazza da XX secolo che di questioni di principio, i nostri thinker si lasciano addirittura andare in deliri di presunta purezza indipendentistica, per concludere infine che comunque l'abolizione delle province è necessaria, in quanto prevista dallo Statuto, ma che ESSI sanno cosa proporre in loro sostituzione, e cioè i "liberi consorzi di comuni". Come se questo non fosse già scritto nello Statuto stesso. Cosa ci propongono quindi di nuovo, o di diverso, i nostri amici travagghisti?

Erano davvero necessari questi distinguo? Era necessaria questa fuga in avanti del Fronte Nazionale Siciliano? Erano necessarie queste accuse generiche che gettano zizzanie nella già insignificante galassia sicilianista?

Marx scrisse: le religioni sono l'oppio dei popoli. Oggi possiamo tranquillamente asserire che l'oppio dei popoli sono le ideologie, un male che abbiamo importato dalla tediata Italia. E ci sembra che al think tank degli indipendentisti si siano sparati proprio una bella dose di oppio contemporaneo.

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domenica 7 ottobre 2007

La moneta di Auriti e lo sviluppo del Sud

di Meridio Siculo

Non finiremo mai di ringraziare il Prof. Giacinto Auriti per la sua scoperta del “valore indotto” della moneta. Penetrando, poco per volta, il suo pensiero si sperimenta il dileguarsi dell’oscurità che ha circondato quasi sempre la genesi dei problemi economici che affliggono l’umanità, e si gode, al contempo, una luce che rischiara la mente sugli innumerevoli misteri della nostra storia.


“Chi crea il valore della moneta — dice Giacinto Auriti — non è chi la stampa ma il popolo che l’accetta come mezzo di pagamento”, sono però i banchieri, i grandi usurai, che si appropriano del valore monetario, usandolo come strumento di dominazione ed imponendo all’umanità il signoraggio del debito.”

E in Italia le nefaste conseguenze del sistema del signoraggio bancario le abbiamo conosciute soprattutto noi, gente del sud.

Quando la parte egemone della nuova classe politica italiana avallò, con l’unità, quel sistema, decise, in realtà, di creare una finta nazione, divisa in due per l’ingordigia dei più furbi e prepotenti e a danno dei più deboli, e nella quale ci sarebbe stata abbondanza di denaro solo per i “fratelli” vincitori della padania, a fronte di una cronica penuria dei fratellastri conquistati del sud.

Fu grazie, anche, alla consapevole e colpevole rinuncia del nuovo stato che, come avrebbe detto il prof. Auriti, anziché “stamparsi” da se e a costo zero il denaro occorrente ai suoi bisogni, preferì farselo prestare dalla banca privata “Nazionale”, pagandone anche gli interessi, che si realizzò quanto era da tempo disegnato nella mente dei poteri massonico-bancari internazionali e in quella delle logge tosco-padane, loro alleate.

Ma per poter far questo la banca “Nazionale” di Cavour aveva bisogno dell’oro e dell’argento del sud, senza i quali non avrebbe mai potuto accumulare la riserva necessaria ad emettere l’enorme quantità di cartamoneta da destinare ai bisognosi “fratelli del nord”.

E fu così che il denaro creato sulla spoliazione delle ricchezze del sud, venne dato in prestito dalla “Nazionale” e dalle sue affiliate al nuovo stato italiano, il quale, con la scusa del suo alto costo, lo faceva nel tempo "bastare" solamente ai bisogni “improrogabili” delle regioni settentrionali, mentre il “debito pubblico” che ne conseguiva lo faceva distribuire a tutti, ma con un peso diseguale per i meridionali, a causa della spaventosa penuria monetaria imposta nel mezzogiorno d’Italia dai nuovi governanti, ed utilizzata come un vero e proprio strumento di dominazione.

Naturalmente, ogni volta che i “terroni” tentavano di reclamare i loro diritti, l’artiglieria dell’esercito italiano e quella delle organizzazioni “mafiose”, alleate fedeli dei poteri forti, nonché l’ancor più subdola offensiva dei mezzi di comunicazione, facevano piazza pulita di ogni rivendicazione, ristabilendo l’ “ordine” e la “pace” sociale.

E tutto questo per 150 anni, senza che nessuno di quelli che erano a conoscenza di tali cose osasse tentare qualche rimedio. L’ascarismo meridionale è stato sempre remunerato anche per mantenere il silenzio sulle discriminazioni causate dal signoraggio bancario.

Oggi, però, i popoli del sud hanno in mano un’autentica possibilità di riscatto.

Grazie agli studi di Auriti e alla sperimentazione del SIMEC, la moneta complementare da lui inventata per favorire le comunità meno sviluppate, essi possono disporre di un’arma formidabile per risvegliare la loro economia e scongiurare, allo stesso tempo, le gravi crisi incombenti sulla produzione locale a causa degli spaventosi monopoli sorti con la globalizzazione.

Con l’intendo di restituire la proprietà della moneta al popolo, l’Auriti ha voluto, infatti, sopperire alla penuria di denaro esistente nella sua Guardiagrele, con l’utilizzo di un simbolo economico, il SIMEC, di proprietà del portatore (quindi non prestato dalle banche), accettato dalla comunità e fatto circolare assieme alla moneta ufficiale, ma con un valore doppio rispetto ad essa.

E questa geniale soluzione ha consentito, per il tutto periodo in cui è stata adottata, il rifiorire della vita e dell’economia del comune di Guardiagrele.

Ebbene, noi meridionali dobbiamo interessarci a tali novità: con l’aiuto di economisti consapevoli, che agiscano in accordo con le amministrazioni locali, dando il via ad un percorso già tracciato con successo dal prof. Auriti, noi potremo finalmente alleviare le nostre sofferenze, dovute prevalentemente alla penuria monetaria ed all’uso esclusivo della moneta-debito ufficiale.

Sull’esempio del SIMEC potremo far sorgere monete locali complementari che risolverebbero, per esempio, anche gli annosi problemi dei produttori agricoli e della piccola industria.

Ma, soprattutto, con l’uso delle monete complementari potremo finalmente vincere la rassegnazione e la sfiducia nelle nostre capacità e nel nostro destino.

(Il prof. Auriti si è spento in silenzio l’11 agosto del 2006. Di fronte ai tanti che hanno schiamazzato sempre per mettere in mostra la loro sconfinata e vuota presunzione, egli ha dato l’esempio di una vita integra, totalmente dedicata alla ricerca e alla difesa della verità.)

Tratto da meridiosiculo.altervista.org


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Se il Sud fosse uno Stato indipendente, sarebbe il più povero dell'Unione europea?

di Antonio Pagano

Questa affermazione è comparsa alla fine di agosto 2005 sulla rivista scientifica internazionale Plus Medicine da una indagine statistica effettuata da due ricercatori dell'Istituto Mario Negri di Milano, Rita Campi e Maurizio Bonati, i quali da anni raccolgono gli indici sulle condizioni socio-sanitarie di bambini e adolescenti.


Costoro hanno fatto risultare che vi è una enorme disuguaglianza tra Nord e Sud e, disaggregando i dati delle singole regioni, hanno tratto la conclusione che, se si considerasse il Sud come uno Stato indipendente all'interno dell'Unione Europea, sarebbe il più povero.


I dati da cui hanno tratto le loro conclusioni riguardano però solo la mortalità infantile, che risulta quattro volte superiore al resto d'Italia, e l'ospedalizzazione: "Oltre il 22% dei piccoli pazienti della Basilicata e del Molise, e oltre il 13% di quelli calabresi e abruzzesi deve ricorrere a ospedali del Centro-Nord.


Una vera e propria migrazione sanitaria". L'affermazione, presentata poi con l'immagine suggestiva di un eventuale "Sud-Stato indipendente", sembra voler accreditare ai meridionali una incapacità congenita di realizzare una sufficiente condizione socio-sanitaria. I dati esposti, invece, mostrano che lo Stato italiano - la Sanità è ancora di sua competenza e il Sud fa parte di questo Stato, almeno di nome - ha destinato al Sud meno risorse, come del resto fa con tutto, per soddisfare prima di tutto gli interessi dei gruppi finanziari del Nord.


L'idea di un Sud come Stato indipendente all'interno dell'Europa è, tuttavia, da prendere in considerazione in quanto è vero proprio il contrario: un Sud indipendente sarebbe ai primi posti in Europa. Come lo eravamo circa 145 anni fa. E vediamo perché.


Bisogna partire prima di tutto dalla definizione di Stato. Cos'è lo Stato? Al di là delle scolastiche definizioni giuridiche lo Stato altro non è che uno strumento usato per organizzare il popolo e il territorio su cui il popolo è stanziato. Lo Stato, inoltre, per poter funzionare, deve essere sovrano, non deve cioè, nelle sue scelte politiche e amministrative, dipendere né essere condizionato da altri.


Le persone che dirigono l'organizzazione dello Stato sono i politici che si qualificano in genere di "destra" o di "sinistra", termini che però non hanno alcun significato reale. I politicanti fanno basare i movimenti politici su ideali seducenti, escogitati per catturare i consensi delle masse popolari facendo prospettare miti simbolici ben collaudati da secoli: patriottismo, nazionalismo, socialismo, lotta al terrorismo ecc., oppure, con l'inganno, promettendo vantaggi futuri (posti di lavoro, aumento del reddito, previdenza, ecc.), oppure instaurando un fiscalismo opprimente con la promessa di abbassarne i prelievi, oppure con la complicità di gruppi organizzati di elettori (lobby) che, in cambio del voto, ne ricavano vantaggi illeciti.


Strumento essenziale, per lo sviluppo del popolo e per far funzionare l'apparato statale, è il denaro. Il denaro, come si sa, è fatto con carta stampata e metallo coniato. Esso ha la funzione di permettere gli scambi commerciali e di retribuire il lavoro prestato. Attualmente è usato l'Euro che non ha alcun valore intrinseco. Il suo valore, infatti, non è basato su corrispondenti riserve di metallo pregiato o altro tipo di beni, ma semplicemente sul fatto che viene accettato e scambiato di comune accordo da tutti.


Naturalmente la quantità di Euro in circolazione deve essere in armonia con la situazione dell'economia e della produzione (PIL, cioè il Prodotto Interno Lordo) altrimenti ne scaturirebbe "inflazione" (l'eccessivo denaro in circolazione verrebbe svalutato e servirebbe più denaro per acquistare lo stesso prodotto) oppure "deflazione" (poco denaro in circolazione e relativa diminuzione dei prezzi, situazione che comporterebbe contrazione dell'economia e della produzione con conseguente disoccupazione).


Chi allora deve avere il compito di stampare e coniare denaro? Con tutta certezza non può essere che lo Stato che, come abbiamo visto, è lo strumento sovrano del popolo per organizzare la sua vita. Ovvio quindi che esso non possa essere prodotto direttamente dai cittadini: il denaro non avrebbe alcun valore perché la quantità immessa nel mercato sarebbe fuori controllo.


Il denaro è, dunque, il pilastro fondamentale per la vita di un popolo e del suo Stato. Lo Stato tra i suoi compiti deve anche prevedere la sorveglianza delle banche commerciali e di fissare periodicamente il tasso ufficiale di sconto (cioè il costo del denaro dato in prestito alle banche commerciali). Insomma, tutto e tutti dipendono dal denaro.


Eppure in Italia, dall'Unità fatta nel 1861, ad opera del "padre della patria" Cavour, lo Stato fu esautorato della sovranità di emettere denaro, con l'affido ad un ente privato la Banca Nazionale piemontese, cioè a quella che - attraverso vicende quasi sempre molto sporche, es. furto delle riserve in oro di dollari e sterline dei Banchi di Napoli e di Sicilia in epoca fascista - attualmente è la Banca d'Italia.


I proprietari della Banca d'Italia sono banche private (85%), assicurazioni (10%) e altri proprietari minori. In pratica la Banca d’Italia, creando dal nulla il denaro con la sola stampa e conio, lo "presta" poi allo Stato che, per svolgere le sue funzioni, resta assurdamente indebitato (Debito Pubblico) con un privato. Cosa che non avverrebbe se lo Stato, per suo sovrano diritto-dovere, il denaro se lo stampasse esso stesso e lo distribuisse ai cittadini che ne sono naturalmente i proprietari.


Un assurdo così enorme, così grande, che nessuno riesce a vederlo. Una truffa gigantesca ben congegnata: essa consente agli azionisti della Banca d'Italia di arricchirsi non solo con la "restituzione" del debito da parte dello Stato, ma anche di farsi pagare gli interessi (tasso di sconto) su denaro non suo. Solo che il denaro che torna indietro alla Banca è denaro vero perché è frutto del lavoro e dei sacrifici dei cittadini.


Ma ci sono anche altri che ci guadagnano da questa assurda situazione: quelli che amministrano lo Stato. I politici, che formano i governi e i vari apparati dello Stato, maneggiando l'enorme flusso di denaro che lo Stato preleva dai cittadini con imposte e tasse, si arricchiscono anche loro concedendosi stipendi favolosi per fare concessioni ai cittadini, per comprare voti, ecc., anche a scapito dell'efficienza economica e amministrativa dello Stato.


In proposito si può ricordare il governo di Aldo Moro che per istituire l'ENEL col pretesto di "dare la luce a tutti" comperò le azioni della S.I.P. (Società Idroelettrica Piemontese) per una somma pari a 100.000 miliardi di lire, un enorme esborso del tutto inutile perché le concessioni demaniali degli impianti idroelettrici stavano per scadere e, quindi, le azioni avrebbero a breve perso valore.


Quell'enorme cifra fu praticamente tolta per decenni allo sviluppo e alla costruzione di infrastrutture del Sud e servì a finanziare lo sviluppo tecnologico della S.I.P. che passò alla telefonia. Risultato di tale operazione: l'energia elettrica in Italia costa più che in tutti gli altri Stati europei. L'operazione fu una delle tipiche truffe del Nord, ma nessuna formazione politica è andata al fondo della faccenda: nessuno aveva interesse a sputare nel truogolo della gozzoviglia.


Il silenzio dei politici meridionali, in proposito, è stato tombale, come sempre. Addirittura essi ritengono che se il Sud diventasse indipendente non sarebbe in grado di sopravvivere e numerosi sono quelli che si affannano a difendere l’unità, il risorgimento e osannano il Garibaldi.


Eppure quando ho definito costui, in altri miei articoli, ladro, assassino e primo artefice del degrado meridionale, nessuno mi ha dimostrato il contrario. E c’è ancora qualcuno nel Sud che vuole intitolare a lui un teatro a Gallipoli. Sindrome di Stoccolma?


Una cosa è certa: con gente così davvero il Sud non andrà da nessuna parte. Insomma lo Stato viene usato come esattore da parte della Banca d'Italia con la connivenza dei politici, i quali usano anch'essi lo Stato come strumento per arricchirsi. Naturalmente non tutti i politici sono consapevoli e conniventi di quanto avviene, ma certamente costoro sono di una inammissibile e colpevole ignoranza.


Con questo sistema, essendo lo Stato privo di sovranità e usato come strumento truffaldino, non si può dire, dunque, che in Italia esista uno Stato vero, ma solo il suo simulacro. Da questa colossale truffa a danno del popolo, iniziata con i Savoja per "fare l'Italia unita" e continuata con la complicità di tutti i governi fino ad oggi, si può scientificamente affermare che la Banca d'Italia (oggi la BCE) è la vera detentrice del potere, perché essa, appropriatasi della facoltà di stampare denaro, tiene sottomesso il potere politico che "non vede e non sente" pur di stare ben avvinto alla sua greppia.


Basti, in proposito, ricordare il fatto che nessun politico si permise di "chiedere la testa" del Governatore della Banca d'Italia nel 1992, per aver costui fatto perdere allo Stato, cioè a tutti noi italiani, oltre settantamila miliardi per aver ritardato di due settimane la svalutazione della lira - svalutazione ormai certa di circa il 30% - a vantaggio di speculatori internazionali.


Eppure questo genio della finanza fu fatto Ministro dell'Economia (ma si era laureato in Lettere alla Scuola Normale di Pisa), Primo Ministro e Presidente della Repubblica. Naturalmente il tutto sempre ammantato del glorioso risorgimento, dell'unità della patria, dell'inno nazionale e dello sventolare di bandiere tricolori e giacobine. Che bello, che bello!


Con l'istituzione dell'Euro, la Banca d'Italia stampa ancora carta moneta, ma su concessione della Banca Centrale Europea con sede a Francoforte, anch'essa privata (azionisti sono i soci privati delle varie banche nazionali, anche dell'Inghilterra che, pur non essendo entrata nel sistema Euro, detiene tuttavia il 14% delle azioni, e, quindi, degli utili).


La concessione comporta ovviamente un elevato addebito non motivato. Contro il costo di stampa di 0,03 centesimi la BCE pretende 2,50 Euro ogni cento, ovviamente scaricati sullo Stato italiano, pagatore finale, cioè su tutti noi.


L'Unione Europea, è, in sostanza, una unione di banche senza un Governo supervisore. Uno Stato europeo, infatti, non esiste. Cosicché i governanti dei vari Paesi europei usano ora il loro Stato nazionale come esattore della Banca Centrale, la cui greppia è ben più abbondante di quella nazionale e con meno vincoli per l'assenza di un Governo centrale di tutela.


Tra l'altro la BCE consente continuamente di emettere più denaro del necessario (circa il 5% all'anno), cosicché questo surplus, innescando un processo inflattivo, fa diminuire il valore della moneta.


Questo ha l'effetto di una tassa indiretta per i popoli e arricchisce silenziosamente i soci della BCE perché i cittadini e le imprese, causa la forzata svalutazione strisciante, sono spinti a chiedere più denaro alle banche in un'infernale spirale senza fine.


Se la BCE non stampasse una quantità eccessiva di Euro non esisterebbe inflazione. L'inflazione è causata di proposito.


Fazio, rimasto attaccato alle concezioni "nazionali" della Banca d’Italia ancorate al periodo della Lira, è stato allontanato perché dava fastidio: "non aveva capito" che era passato il tempo di fare gli "interessi" nazionali, bisognava ora fare quelli "europei".


Una truffa talmente enorme che si fa fatica a vederne i contorni. Il popolo infatti non se ne accorge, anche perché nessun politico ne parla. Se ne guardano bene. Costoro, interessati a mantenere questo sistema truffaldino, mentono nei pubblici dibattiti in modo spudorato: così la gente crede e si adatta alla situazione ritenendola reale e legittima.


Da tutti si ritiene, infatti, giusto pagare il debito pubblico e che partecipare alle elezioni sia doveroso per poter scegliere al meglio i politici e i partiti onde "essere meglio amministrati per lo sviluppo della vita nazionale".


Nessun programma televisivo è più seguito di quelli in cui c'è un dibattito politico: ma gli spettatori non si rendono conto che è solo una messa in scena (magari anche "combinata" tra gli opposti schieramenti). Un ben collaudato meccanismo psicologico, il cosiddetto "teatrino della politica", che cattura le passioni e il consenso popolare col risultato di nascondere l'enorme truffa dietro celata.


I popoli europei sono ormai ridotti a semplice gregge, particolarmente quelli del Sud-Italia, da tosare il più possibile per far arricchire i gruppi finanziari che dominano i governi.


Questi, servi delle banche, aumentano tasse e tributi con l’ingannevole pretesto dell'inflazione. Invece è vero esattamente il contrario: l'aumento dei balzelli serve solo a produrre deflazione (cioè a far diminuire la quantità di denaro circolante che causa l’aumento dei costi). Così gli imprenditori sono costretti a chiedere denaro in prestito alle banche, che si arricchiscono ancora di più, mentre aumentano fallimenti e povertà.


Per questo, il cosiddetto Debito Pubblico non verrà mai cancellato. È un collaudato meccanismo che fa guadagnare la BCE e i politici (Destra, Sinistra o Centro non fa alcuna differenza: sono tutti d'accordo).


Prima che arrivassero i "liberatori" piemonteso-savojardi il Regno delle Due Sicilie aveva una economia del tutto diversa. Il denaro veniva stampato (fedi di credito) e coniato direttamente dallo Stato. Non esisteva un "Debito Pubblico" inquinato dal pagamento di tasse a favore di una Banca privata.


Il Banco delle Due Sicilie era una banca di Stato e il suo "Debito Pubblico" era fisiologico, dovuto in genere alle pochissime tasse che servivano solo a pagare i servizi che lo Stato effettivamente forniva al popolo. Il Regno delle Due Sicilie era la terza potenza economica in Europa, situazione resa visibile dall'elevata rendita sulla piazza di Parigi.


Il sistema attuale è dunque così organizzato: a) lo Stato italiano è privo di sovranità (tra l'altro è anche occupato da truppe straniere) ed è usato per soddisfare gli interessi dei gruppi finanziari italiani e stranieri; b) le lobby italiane, tutte del Centro-Nord, sfruttano il Sud come una colonia interna in cui vendere i loro prodotti e servizi.


Ovviamente esse impediscono qualsiasi sviluppo che potrebbe rivelarsi pericoloso concorrente del Nord, ad esempio fottersi a qualunque prezzo la Banca del Salento, rea di aver avuto l'audacia di aprire due sportelli in due zone centralissime di Milano, uno in Stazione Centrale, l'altro in piazza Diaz a due passi dal Duomo.


Da ricordare anche la compagnia S. Paolo che, sfruttando il nome del Banco di Napoli, succhia i risparmi del Sud per versarli a Torino con la vergognosa complicità della classe dirigente e politica meridionale. Bisognerebbe impedirle almeno di usare il nome Banco di Napoli! Ma tanto è inutile: ci fotterebbero comunque con l'istituzione della Banca del Sud.


Carpendo la "buona fede" del principe Carlo di Borbone, lo hanno messo a simbolo di questa Banca per attirare i babbioni terroni. Quello che sorprende sempre (e sgomenta) è il vedere con quanta facilità questi polentoni ci fanno fessi come vogliono e senza neanche nasconderlo più di tanto. Vedrete quanti coglioni adopereranno questa Banca del Sud (o del Mezzogiorno)!


È intuitivo comprendere, dunque, che, se il Sud tornasse indipendente, basterebbe il solo fatto di liberarsi dei parassiti nordisti e stampare in proprio armoniosamente il denaro che serve per avere un immediato sviluppo sociale ed economico, come avveniva prima di questa stramaledetta e truffaldina "unità d’Italia".


Un esempio classico in proposito è rappresentato dalle colonie della Nuova Inghilterra in Nord America: i coloni nel XVII secolo emisero direttamente una propria moneta, chiudendo per sempre con la Banca d'Inghilterra. Si ebbe immediatamente uno sviluppo prodigioso, ma quando il preoccupato Parlamento inglese impose nel 1763 l'obbligo di usare per le transazioni commerciali solo la moneta inglese stampata dalla privata Bank of England, gravata da interessi, vi fu subito recessione e migliaia di disoccupati.


Fu per tal motivo che scoppiò la guerra d'indipendenza americana e nacquero gli Stati Uniti. In seguito, però, anche nel nuovo Stato le banche, con subdole manovre, ripresero il loro predominio "prestando" denaro allo Stato. Vi furono tre Presidenti che cercarono di contrastarle ripristinando il denaro come proprietà dello Stato, ma furono tutti e tre assassinati:


Abraham Lincoln (nel 1865), per aver fatto stampare dollari di Stato (Greenbacks); James A. Garfield (1913), per aver denunciato il dominio dei banchieri sulla Federazione; John F. Kennedy (1963), per aver emesso banconote di Stato, subito ritirate dopo la sua morte.


Altro esempio dei nostri giorni è la Cina che sta superando impetuosamente le economie mondiali. Il motivo consiste proprio in questo: la Cina ha una Banca di Stato e non una Banca Centrale privata!


La Cina stampa direttamente il denaro che le serve e non lo chiede in prestito a nessuna banca privata! Non è affatto vero, come ci vogliono far credere, che il lavoro cinese costi poco perché gli operai mangiano un pugno di riso: la Cina si è sviluppata e continua a svilupparsi a ritmi impensabili perché non le gravano addosso i parassiti che le succhiano il sangue, come quelli che affliggono il nostro Sud.


Se, dunque, riuscissimo ad avere un nostro Stato, stampando noi il denaro che serve, noi avremmo sostanziali benefici in ogni campo. Potremmo costruire le infrastrutture che ci hanno sempre negato col pretesto assurdo che mancano i capitali (è come dire che non si possono fare strade perché mancano i chilometri). Potremmo produrre a basso costo in competizione con tutto il mondo. Potremmo avere un sistema sanitario tra i più avanzati.


Potremmo avere la piena occupazione senza dover più emigrare. Infatti, il denaro emesso direttamente dal nostro Stato, cioè dal popolo, non gravato da interessi passivi, potrebbe essere utilizzato senza ostacoli e stimolerebbe la produzione e conseguentemente l'occupazione. Inoltre, cosa importantissima, non si avrebbe né inflazione, né deflazione. Lo dimostra il ducato duosiciliano che non aveva mai perso di valore nei 126 anni di Regno borbonico.


Due Sicilie, marzo 2006

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venerdì 5 ottobre 2007

Pubblica perversione

Uomini sessualmente variabili e bambini allevati dagli asili nido di Stato. È il nuovo e spaventoso obiettivo delle "politiche familiari" teutoniche.

di Kuby Gabriele


"Equiparazione", "gender mainstreaming", "Centro di competenza gender". Il sito internet del ministero per la Famiglia tedesco abbonda di termini che dicono poco ai non addetti ai lavori, ma che se analizzate tracciano fin troppo bene la rotta verso cui naviga a vele spiegate il ministero. Gender mainstreaming significa letteralmente porre al centro dell'attenzione il genere sociale.

In poche parole adoperarsi perché la distinzione sessuale tra uomo e donna e l'eterosessualità come norma siano rimosse; i modi di vita omosessuale, bisessuale e transessuale considerati equivalenti alla sessualità di uomo e donna. Una vera e propria nuova ideologia che viene trasformata in realtà sociale in Germania attraverso il dominio virtuoso dell'apparato politico, oltretutto senza che su di essa ci sia stato dibattito pubblico.

La stanza dei bottoni è rappresentata dal Gruppo di lavoro interministeriale per il gender mainstreaming (Ima Gm), che dipende dal ministero per la Famiglia. Lì vengono elaborate le strategie utili a far cambiare direzione alle finanze dello Stato e destinarle alla creazione dell'uomo sessualmente variabile.

Il lavoro "scientifico" e l'attività di consulenza per la ristrutturazione della società è prestato dal Centro di competenza gender presso l'università Humboldt di Berlino, centro che viene finanziato in buona misura dal ministero per la Famiglia.

In maggio il Governo ha approvato un incremento a tappeto degli asili nido, fortemente voluto dal ministro per la Famiglia Ursula von der Leyen. La "ministra gender" appartenente a un cosiddetto partito cristiano democratico si è battuta per una vera e propria statalizzazione dell'educazione dei bambini sostenendo che l'assistenza "professionale" ai piccolissimi sia meglio della crescita affidata alla custodia naturale della madre. Certo, gli asili nido possono essere gestiti in modo ottimo, certo ci sono genitori incapaci di essere tali, ma quel che colpisce è che la "professionalità" delle attendenti viene spesa tacitamente come garanzia per la "buona" educazione dei bambini. Ma quali sono gli obiettivi dell'educazione statale nell'asilo nido e nella scuola materna? Non esiste un'educazione "neutrale", la cui bontà dovrebbe essere assicurata dalla qualifica delle educatrici. Si trasmettono sempre "valori". Ebbene quali sono questi valori?

Nella pagina internet del ministero per la Famiglia si legge: «Il miglioramento della compatibilità di famiglia e lavoro per donne e uomini è la domanda centrale dal punto di vista politico-sociale. Senza una rimozione delle responsabilità specificatamente legate al sesso all'interno della famiglia e nel lavoro e senza l'approntamento delle condizioni di contesto necessarie per conseguire ciò l'equiparazione non potrà imporsi». Ancora: «Il termine "gender" indica i ruoli socialmente e culturalmente definiti dalla sessualità di uomini e donne. Questi, diversamente dalla sessualità biologica, vengono appresi, dunque sono anche modificabili».

Si tratta di social engeenering, della creazione di un nuovo uomo, sessualmente variabile. Per ottenere ciò lo Stato deve impossessarsi dei bambini, "sessualizzandoli" il prima possibile. A questo provvede la BZgA, la Centrale federale per l'istruzione sanitaria. La sezione che si occupa dell'istruzione sessuale sottostà al ministero per la Famiglia mentre tutto il resto è subordinato al ministero dell'Istruzione. La BZgA distribuisce gratuitamente i propri scritti a genitori, insegnanti, educatori, scuole e studenti. Chiunque può ordinarli gratuitamente attraverso internet e lì può anche consultarli. Eccone alcuni esempi.

Il Vademecum per genitori circa l'educazione sessuale infantile da uno a tre anni d'età invita madri e padri a «unire il necessario al piacevole, solleticando, accarezzando, coccolando il bambino, quando lo si lava, nei più diversi punti del corpo». «La vagina, e soprattutto il clitoride, vanno scoperti evitando il più possibile di concentrarvi l'attenzione, nominandoli e attraverso amorevole contatto». L'esplorazione infantile dei genitali degli adulti può «destare stati d'eccitazione negli adulti».

«Si tratta di un segno di sviluppo salutare di suo figlio, se usa generosamente la possibilità di procurarsi piacere e soddisfazione». Se accade che ci siano bambine (comprese tra uno a tre anni!) che «afferrano anzitutto oggetti che le aiutano» non si deve «usare questo come scusa per impedire la masturbazione». Il Vademecum troverebbe «incoraggiante il fatto che anche padri, nonne, zii o baby-sitter gettino uno sguardo su questo scritto informativo e si lascino intrigare - per favore, sentitevi tutti coinvolti!».

Naso, pancia e culetto

Si prosegue con la scuola materna. Con il quaderno di canti e di note Naso, pancia e culetto i bambini cantano canzoni come questa: «Se guardo il mio corpo e lo tocco scopro sempre che cosa è mio. Abbiamo una vagina, perché siamo bambine. È qui sotto la pancia, tra le mie gambe. Non è solo per fare pipì e se la tocco, sì, sì formicola graziosamente. Puoi dire "no", puoi dire "sì", puoi dire "ferma", oppure "ancora una volta così", "così non posso", "così mi piace molto", "oh, avanti così"».

Dalla scuola materna alle elementari. Se la pornografia non fa ancora parte dell'intrattenimento familiare, i bambini hanno la possibilità di vedere videoclip con il cellulare. A nove anni inizia la lezione sulla contraccezione, chiamata "educazione sessuale", perché ormai prossimi all'età nella quale gli innocenti giochi da bambini potrebbero avere una conseguenza altamente indesiderata: la gravidanza. I bambini di nove anni a scuola si esercitano a infilare preservativi in peni di plastica, così, per poter ottenere la «patente per l'uso del preservativo». Nella brochure Questione (i) di femmina si dice: «Così come la maggior parte della gente è curiosa circa il sesso, molti si chiedono anche che cosa facciano le lesbiche a letto (o altrove.).

Per ragazze che siano insieme ad altre ragazze accade ciò che accade con le altre coppie: fanno tutto ciò che può dare piacere: baciare, accarezzare, con la bocca, con la lingua o con i piedi. Così come nel sesso tra uomo e donna, dipende dalla fantasia, dalle esperienze, dalla fiducia reciproca, da fino a che punto la coppia intenda spingersi. "Quantomeno le lesbiche non hanno problemi con l'Aids", possono pensare alcuni. Chiaro, se vanno solo con donne non devono pensare alla difesa dalla gravidanza».

Dall'età di dieci anni vengono adottati nelle scuole gli strumenti di propaganda e addestramento all'omosessualità (con l'aggiunta della bisessualità e della transessualità), non dappertutto in maniera così virulenta come a Berlino, Amburgo e Monaco, ma in Germania c'è una tendenza unitaria. Una Guida per le scuole di 198 pagine del Senato di Berlino sul tema Il modo di vita omosessuale offre un forbito avviamento alla omosessualizzazione degli studenti, da promuovere in «biologia, tedesco, inglese, etica, storia/educazione sociale, latino, psicologia». Materiale informativo, collegamento in internet con la scena omosessuale locale, invito a "rappresentanti" di progetti omosessuali a prendere parte alle lezioni, proiezioni cinematografiche e giornate di studio sul tema, tutto questo dev'essere proposto ed eseguito.

Per i giochi di ruolo durante la lezione vengono fornite le seguenti sollecitazioni: «Siedi al banco di un bar di omosessuali e oggi potresti avere bisogno un uomo carino da portare a letto. Entra uno che fa al caso tuo. Come cogli la tua chance?». O ancora: «Tu sei Peter, 29 anni. Vuoi contrarre un patto civile di solidarietà con il tuo amico Kemal. Oggi volete raccontarlo a sua madre». «Tu sei Evelyn Meier, 19 anni. Vuoi contrarre un patto civile di solidarietà con la tua amica Katrin. Andate dal pastore evangelico, la signora Schulz, perché lei volentieri vi vuole sposare in chiesa».

Cosa dicono i cristiani?

Questi sono solo assaggi. Tutti i testi del BZgA, destinati a tutti i gruppi sociali, propagandano la sessualizzazione dei bambini e dei giovanissimi a partire da un anno. Essi minano l'autorità dei genitori. Seducono bambini e giovanissimi a una sessualità ridotta a soddisfazione del piacere senza legame coniugale. In tutto questo passa l'insinuazione dell'equivalenza di ciascuna forma di prassi sessuale - omosessuale, transessuale, bisessuale - con l'eterosessualità. I bambini a scuola vengono addestrati, a partire da nove anni, a diventare esperti di contraccezione. L'aborto viene loro proposto come un'innocua opzione da sottoporre alla libera scelta.

Questa è la "politica della famiglia" di uno Stato la cui esistenza è insidiata dalla crisi demografica. Poiché il gender mainstreaming è tra le massime priorità mondiali e nazionali, il problema dello sfascio della famiglia, quello dell'assassinio di massa di bambini non nati e quello delle decrescenti nascite possono rimanere irrisolti. Il logoramento morale prodotto dallo Stato e dai media è la radice di questa piaga. Il 60 per cento dei cristiani battezzati è d'accordo con la sessualizzazione forzata messa in atto da Stato e media? Lo sono i musulmani? La maggioranza dei genitori è senza vincolo religioso? Certamente no, tuttavia nel paese domina un grande silenzio, segno di una condizione pre-totalitaria della società.

Tacciano gli omofobi

Negli ambiti della politica, dei media e delle università l'opposizione ai Gender subisce denigrazione, emarginazione professionale: è ininfluente. Un nuovo epiteto si è trasformato in evidenza giuridica al fine di criminalizzare l'opposizione: omofobia. Il concetto insinua che sono fanatici della paura morbosa tutti coloro che tengono duro sul fatto che la sessualità serve il bene dell'uomo e della società, quando essa è espressione dell'unione amorosa di uomo e donna chiaramente finalizzata alla riproduzione.

Il Parlamento europeo, con la risoluzione B6-0025/2006 del 18 gennaio 2006, ha annunciato che vuole "sradicare" l'omofobia. In Polonia la Ue nella primavera del 2007 è passata all'azione. Poiché la Polonia non vuole «propaganda sessuale nella scuola», secondo il volere della maggioranza del Parlamento Europeo (26 aprile 2007) dev'essere eseguita una fact-finding mission a causa della «crescente tendenza all'intolleranza razzista, ostile agli stranieri e omofobica», al fine di poter accusare il paese davanti alla corte di giustizia europea.

Troppo a lungo abbiamo abboccato a frasi ideologiche piene di parole come libertà, tolleranza, antidiscriminazione. Queste servono in primo luogo a discriminare ed emarginare i cristiani e i conservatori ed ad abrogare le libertà d'opinione e di religione.

Svegliamoci.

Tempi n. 35, 30 agosto 2007


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lunedì 1 ottobre 2007

Perché non si dice che in Birmania governa un regime comunista?

L'Italia è l'unico paese al mondo, insieme a Cuba e Corea del Nord, in cui partiti che si definiscono comunisti tengono in piedi il governo e attraverso stampa e televisioni manipolano la realtà fino al punto da non dirci che in Birmania è proprio il comunismo a governare.


Chiamiamolo Comunismo

di Massimo Introvigne

Diceva Napoleone che ci vuole coraggio per chiamare gatto un gatto e sconfitta una sconfitta. Oggi ci vuole ancora più coraggio per chiamare comunista un comunista. La parola, giustamente, fa paura. Il maggiore specialista accademico mondiale del comunismo, Robert Service, nel suo recente «Compagni!» lo ha definito il peggiore cancro che abbia attaccato nella storia l'organismo umanità, esibendo come prova un costo umano certamente superiore ai cento milioni di morti. Perfino in Cina e in Vietnam si dibatte se il termine «comunista» designi ancora adeguatamente l'attuale regime misto di autoritarismo e mercato. Sono rimasti tre i Paesi in cui partiti che si definiscono orgogliosamente comunisti tengono in piedi i governi: Cuba, la Corea del Nord e l'Italia.

L'anomalia italiana, unica in Occidente, spiega un curioso atteggiamento dei media e in particolare della televisione e della radio di Stato a proposito di quanto sta accadendo in Birmania (ribattezzata dal regime Myanmar). Mentre in America o in Francia si parla tranquillamente delle origini comuniste del regime di Rangoon, il telespettatore italiano che ignori tutto della Birmania ha scoperto negli ultimi giorni che è governata da una «dittatura», così da essere autorizzato a pensare che nel lontano Paese asiatico siano al potere i nipotini di Pinochet. Un giornale radio ha perfino parlato di «dittatura fascista», forse inducendo qualcuno a controllare nei libri di storia se dopo la marcia su Roma i quadrumviri non abbiano fatto un salto in Birmania per fondare il fascio di Rangoon.

Non è proprio così. Dal 1962 al 1988 il regime birmano è un tipico regime comunista, guidato da un gruppo di militari marxisti il cui capo, il generale Ne Win (morto nel 2002), promuove una disastrosa «via birmana al socialismo», imponendo un'economia rigorosamente collettivista che riduce il Paese alla fame mentre la repressione fa qualche migliaio di morti. Nel 1988 i birmani - già allora guidati dalla Lega per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Ky, figlia del padre dell'indipendenza nazionale - non ne possono più e scendono in piazza. Ne Win è estromesso dal potere, sostituito da una giunta militare che elimina prudentemente dal suo partito il nome «socialista» - sostituito da un richiamo vagamente minaccioso a «legge e ordine» - e promette libere elezioni. Quando nel 1990 la LND vince le elezioni, i generali ne arrestano i dirigenti e tornano a un sistema che assomiglia come un fratello gemello al vecchio regime comunista, salvo che non si parla più di comunismo e s'incoraggiano gli investimenti stranieri offrendo anche il lavoro semi-gratuito di detenuti comuni e politici. Ma non è questione di nomi. Tutti gli uomini forti dell'attuale governo vengono dal vecchio Partito del Programma Socialista (cioè, dal Partito comunista birmano) di cui l'attuale presidente, il generale Than Shwe, è stato il braccio armato nella repressione del 1988. Dal punto di vista della retorica, dei diritti umani, della (non) libertà di stampa e di associazione la Birmania rimane un regime di matrice comunista. Se si eccettua la presenza delle multinazionali straniere, l'attività economica resta ampiamente nelle mani dello Stato. I morti fatti dalle truppe che sparano sulla folla in Birmania non sono vittime di una generica «dittatura», ma di un regime post-comunista che è «post» solo in quanto almeno si vergogna d'invocare il nome del comunismo, pur mantenendone la sostanza. In Italia non ci si vergogna neppure del nome.

il Giornale.it, 29 settembre 2007

FONTE


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La Sicilia è sotto attacco. E' ora di difenderla e liberarla definitivamente

Pubblichiamo integralmente l'ultimo comunicato stampa del M.I.S.: una denuncia puntuale della situazione di assedio vissuta dalla Sicilia, e che noi sottoscriviamo integralmente.



La Sicilia è sotto attacco. E' ora di difenderla e liberarla definitivamente

I fatti delle ultime settimane dimostrano senza dubbio alcuno che contro la Sicilia è in corso un durissimo attacco. Una guerra non dichiarata, ma assolutamente senza regole e senza quartiere, si abbatte contro la nostra terra da parte di chi, già da quasi un secolo e mezzo, la stringe nel pugno colonialista: lo Stato Italiano. Una guerra che potrebbe riportare in Sicilia un esercito di occupazione della Repubblica Italiana.

Il cui Presidente, Napolitano, va ad aggiungersi all'aberrante coro segregazionista ed isolazionista ai danni degli imprenditori vittime della mafia, ostracizzati dall'editto di Confindustria che, oltre a chiedere il suddetto intervento armato in Sicilia, indica l'espulsione per chi «collabora con la mafia», ovverosia paga il pizzo. Invece di aiutare gli associati, li abbandonano a loro stessi e ai feroci mastini mafiosi, strumento dell'oppressione colonialista unitamente ai teatrini mediatici a base di Bibbie annotate, cartoline "di minacce mafiose" ma scritte in italiano, e scambi di anelli fra detenuti al 41 bis che non potevano sapere dello scambio di cella. Ovviamente, dalla politica italiana nessun "NO" si erge, anzi il Governo plaude. E al coro si sono aggiunte altre dissennate voci, come l'ordine degli Ingegneri di Agrigento, che intende espellere i propri iscritti che incorressero nelle analoghe sfortune. Ci chiediamo: come pretendono di venirne a conoscenza? Per bocca di coloro che così invece costringono al silenzio nell'abbandono del ricatto e della violenza? È una soluzione assimilare le vittime ai carnefici, come anni addietro si fece con spacciatori e tossicomani bisognosi di cure? Sarebbe (ma per fortuna non è accaduto e non accadrà) come se l'Ordine dei Giornalisti di Sicilia avesse chiesto l'espulsione del bravissimo e coraggioso collega Lirio Abbate, che ha dimostrato negli anni di voler continuare, da giornalista siciliano, la propria missione informativa sul fenomeno mafioso nel cui mirino si trova de tempo. Così come reagiscono alle estorsioni con pari coraggio i tanti che non cedendo ai ricatti mafiosi e "istituzionali", come Andrea Vecchio e Marco Venturi, impediscono la definitiva deindustrializzazione italiana della Sicilia.

Ma alle finte solidarietà, che si aggiungono ai discorsetti di circostanza che in queste settimane hanno "ricordato" il Gen. Dalla Chiesa (nel mirino sin dal 1979, troppo "scomodo" per l'Italia che pure alacremente servì), il giudice Livatino, Don Pino Puglisi, Libero Grassi, Pippo Fava, e altre vitime della mafia, si sono aggiunti altri attentati alla Sicilia, ai Siciliani, al futuro del Popolo Siciliano e della Nazione Siciliana. Catania, divelta e abbandonata, sfruttata con appalti truccati e palazzinari nuovamente a briglia sciolta, sull'orlo del baratro per l'incombente dissesto finanziario, vede nuove indagini a carico del Sindaco e di altri esponenti della politica coloniale ed ascara. Nessuna dimissione, l'illegalità è ormai un fatto comune, diffuso, accettato, come sostiene il sostituto procuratore Renato Papa.

Il Governatore della Banca d'Italia, Draghi, ha candidamente ammesso che il Sud e la Sicilia sono un masso al piede dell'Italia. Che ci lascino andare, allora! Ma ci risarciscano, fino all'ultimo soldo, e con gli interessi, i danni di tutte le ruberie italiche che sono servite a ripianare i debiti italiani e a finanziarne lo "sviluppo" (che in Sicilia ha portato solo inquinamento e morte), a partire dalle copiose riserve auree del Regno di Sicilia saccheggiate da Garibaldi. Vedrà, allora, l'illustre economista come freneranno i conti italiani, per tanto, troppo tempo sostenuti dal mercato di assorbimento rappresentato ancor oggi e sempre più dalle colonie megalelleniche. Vedremo come andrà al Nord senza le vessazioni fiscali a carico dei Siciliani. Che soffrono del sistema di sottosviluppo artificiosamente imposto dall'Italia, e sono troppo spesso costretti all'emigrazione, mai relamente interrottasi (sebbene sfugga alle statistiche ufficiali, ancora ancorate ai cambi di residenza e ai biblici censimenti). Ma che adesso anche la stampa di regime deve ammettere essere in piena ripresa, cogliendo addirittura il pieno plauso, senza alcuna vergogna, dell'editorialista del "Corriere della Sera" Angelo Panebianco, ovviamente convinto che la Sicilia sia solo una "nursery" da disprezzare ed abbandonare quanto prima, ricevendo solo ed esclusivamente una timida risposta contraria dal viceministro siciliano Sergio D'Antoni, unico ad ergersi nel silenzio della connivente e colpevole politica italiana.

La Sicilia per costoro è solo una terra da sfruttare, inquinare, violentare. Proprio in queste ore i tecnici della Panther Eureka stanno effettuando le ricognizioni propedeutiche alle trivellazioni, cui recenti sentenze (di un tribunale amministrativo italiano in Sicilia, e quindi di occupazione, abusivo) hanno dato il "via libera", assieme al "silenzio-assenzo" il cui termine è stato lasciar scadere dalla Regione Siciliana. A nulla valgono gli enunciati della politica italiana che si dice contraria, anche di quelli che a suo tempo autorizzarono (per proprio tornaconto) lo scempio in Val di Noto (che un noto cronista, ignorando le regole dell'UNESCO per i siti "Patrimonio dell'Umanità", semplicisticamente vorrebbe suddividere in aree "da proteggere" e aree "da perforare"). Perché la politica italiana parla, promette, enumera, annuncia, ma non agisce, se non contro la Sicilia. Si vedano, ad esempio, le autorizzazioni per la costruzione di quattro enormi, smisurati inceneritori nel territorio siciliano. Invece di iniziare una politica di gestione dei prodotti post-consumo (rifiuti) che inizia in casa con la raccolta differenziata, e prosegue con il conferimento porta a porta (premio lo sgravio delle tariffe sui rifiuti) indirizzato al riciclo o al compostaggio, i politici ascari e colonizzatori costruiscono impianti che, per mantenere l'economicità d'uso, dovranno importare rifiuti da altre regioni, produranno un terzo di ceneri di risulta, vale a dire pericolosissimi rifiuti speciali non più trasformabili e da stoccare pressoché in eterno, ed una massa pari agli stessi rifiuti inceneriti di fumi, gas, sostanze nocive (diossina), e polveri sottili, tanto sottili da infiltrarsi nelle membrane cellulari e causare malattie gravissimi e fulminanti. Questo, senza diminuire di un centesimo le tasse, ma mettendo definitivamente in ginocchio la produzione agricola siciliana, e tutto l'ecosistema siciliano.

È come se ci imponessero di dare fuoco alla nostra spazzatura dentro un grosso barile petrolifero, in casa, a finestre chiuse. Invece porte aperte, anche dai tribunali che del colonialismo italiano sono i centri di potere al pari dei palazzi della "politica", alla caccia, che miete vittime innocenti nella fauna e anche fra gli umani, permette a personaggi armati di scorazzare nei fondi privati e nelle aree pubbliche (ove i turisti conseguentemente non si recano) senza uno straccio di permesso oltre alla "licenza". Questo per blandire quei comitati d'affari che ancora sostengono questa pratica assassina che in Sicilia andrebbe cancellata.

In Sicilia urgerebbe una campagna di rimboschimento con piante ad alto fusto, vista anche la vergognosa strage che ne hanno fatto gli incendi estivi, possibili perché nessuno (strumentalmente) vigila. E invece, senza ricambio vegetale, il terreno si impoverisce, diminuisce l'apporto idrico, aumenta l'erosione, le temperature si innalzano. È di questi giorni l'allarme per la drastica diminuzione del raccolto vitifero a causa delle alte temperature estive. E dire che l'uva da tavola tipica siciliana, e i nostri vini, dovrebbero rappresentare l'avanguardia di quelle produzioni di qualità che, da sole insieme alla produzione ittica che è virtualmente un terzo di quella totale "italiana", salverebbero la Sicilia. Turismo, terzo settore, l'industria di ultima generazione ci proietterebbero nel benessere diffuso, per un popolo di sei milioni di persone.

E invece, ci hanno svenduto come sviluppo i petrolchimici che già quando vennero costruiti erano assolutamente antiquanti e pericolosissimi: infatti furono impiantati solo nelle zone povere soggette alla potestà italiana. Niente mostri fumogeni nei "salotti d'Italia", niente acque inquinate, spiagge distrutte, bambini deformi o nati morti in percentuali spaventose.

E oggi ci sventolano sotto il naso i rigassificatori, i termovalorizzatori, il Ponte sullo Stretto (che nessuno mai ha progettato definitivamente perché IRREALIZZABILE, ma che adesso vogliono nuovamente promuovere impedendo il normale traghettamento dei treni), nuovi porti per gli yacht di lusso, come quello di Lipari. Ma guai ad ammettere che ogni modifica della linea della costa influenza fortemente le correnti marine, e penalizza l'attività della pesca, dell'itticoltura, della stessa navigazione e fruizione del mare, con perdite economiche catastrofiche. Senza contare gli spaventosi sprechi, da "'O Scià" a Lampedusa (che vorrebbe sensibilizzare sull'immigrazione, quando per regolarla servono informazione e trattati internazionali chiari, che solo uno Stato Siciliano in prima persona potrà stilare nell'ambito mediterraneo), ai festeggiamenti per i 60 anni di un'ARS ormai morta e sepolta, come la totalità delle istituzioni pubbliche siciliane occupate dagli italiani e dagli ascari al servizio dei loro partiti (vecchi, nuovi, e "futuri" come il costituendo PD neocentralista al pari delle formazioni da cui origina), capaci solo del proprio profitto, senza più alcuna reale politica per la collettività (si veda ad esempio il corteo dei musicisti a Palermo di alcuni giorni addietro).

A queste condizioni, diventa sempre più agevole individuare nel recupero dell'indipendenza politica, economica, culturale della Sicilia l'autentica soluzione definitiva. E infatti non manca zelante la risposta della propaganda italianista: a S. Margherita Belice (non lontano dal "Cretto" di Alberto Burri ove un noto rotocalco ha fatto denudare una nota modella trevigiana per un becero - e conseguentemente sacrilego - calendario) dove ancora sono profonde le ferite del terremoto del 1968 cui malamente e solo per interesse rispose l'Italia (quando nel 1693 nell'allora Regno di Sicilia la ricostruzione del dopo terremoto portò lo splendore del barocco nel Val di Noto), il Sindaco ha imposto agli alunni un alzabandiera mensile. Nessuno a quei bambini insegna che quella bandiera, scimmiottamento di quella francese, è lorda di eroico sangue siciliano, e che la bandiera dei Siciliani è ben altra. Ma non mancano anche le dimostrazioni di coraggio, come l'aperta azione antimafia esercitata in tribunale dal Comune di Partinico, e gli slanci sicilianisti che già in precedenza avevamo plaudito, ad esempio del Sindaco di Capo d'Orlando, Sindoni.

Ma non mancano nemmeno le strumentalizzazioni. Come la S. Messa in Lingua Siciliana, divenuta, dopo anni di sottaciute volenterose celebrazioni nell'antica lingua del nostro Popolo, una manifestazione "folk", e in quanto tale inserita dal Presidente della "Provincia Regionale" di Catania, Lombardo (che dopo lo sventolamento "autonomista" ha già pianificato e reso pubblico il ritorno, con accresciuto "potere" personale, all'ovile UDC, partito cui ufficialmente non ha mai cessato di appartenere) in una mostra sul folklore. Quindi, la religiosità e l'identità linguistica dei siciliani ridotta a spettacolo da baraccone. Quando è palese che proprio l'imposizione, al posto del latino che è "lingua madre" del siciliano (la figlia più similare, sebbene con le sue spiccate peculiarità dovute alle ascendenze greche, arabe, sicule e non solo), dell'italiano (lingua "sorella minore" del siciliano, se non in parte addirittura "figlia") nella Messa è funzionale a quel meccanismo assimilazionista che vorrebbe "italianizzare" i siciliani, anche evitando la ratifica della "Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie"

Ma sono proprio i siciliani a testimoniare ogni giorni che loro, non intendono tacere. Lo dimostrano le ormai quotidiane manifestazioni sui più disparati temi, dalla richiesta di restituzione della Venere di Morgantina (che da ieri, ma nessun media ci tiene a sottolinearlo, è ufficiale che sarà restituita solo dopo il 2010), ai comitati contro le trivellazioni, il Ponte sullo Stretto, gli inceneritori, le estorsioni, e non solo. Tutte manifestazioni di una volontà unica, quella di rientrare in possesso della propria terra, della Sicilia.

Manifestazioni che crescono, cresceranno, al fianco e al pari di quelle che in queste ore affollano le strade della Birmania, in marcia con monaci, monache, intellettuali, artisti, gente comune, incuranti della repressione, del coprifuoco, delle cariche dei militari, della morte di alcuni manifestanti come è stato oggi annunciato, delle stesse sanzioni che servono a piegare gli oppressi e non gli oppressori. Ogni lotta per la libertà, la democrazia, l'indipendenza è la lotta dei Siciliani e del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia. Anche noi abbiamo visto i nostri fratelli cadere sotto il fuoco italiano, come a Palermo nel 1944 o a Randazzo nel 1945. Abbiamo creduto all'accordo con l'Italia, ma ormai è chiaro che il Re è nudo, i mercanti sono rientrati nel tempio, è ora di riprenderci la nostra Sicilia, la nostra Patria. Con rinnovata forza convintamente nonviolenta ed incessante. Fino al trionfo finale.

Catania, 26 Rigustu 2007

A cura dell'Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.

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