domenica 20 luglio 2008

I Crimini di Garibaldi in Sicilia

Intervento della Prof. Angela Pellicciari al XV Congresso Tradizionalista (Gaeta, febbraio 2008):




[Leggi tutto...]

I messaggi di Benedetto XVI a Sydney

Eccovi una raccolta dei magnifici messaggi di speranza inviati dal vicario di Cristo, Sua Santità Benedetto XVI, agli austrialiani e al mondo durante la Giornata Mondiale della Gioventù (12-21 luglio 2008).


VIAGGIO APOSTOLICO A SYDNEY IN OCCASIONE DELLA XXIII GMG (12-21 LUGLIO 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE SUL VOLO PER SYDNEY: GMG, SECOLARIZZAZIONE, PRETI PEDOFILI, ECOLOGIA E CRISI DELLA CHIESA ANGLICANA

Il Papa ai benefattori e agli organizzatori della GMG: "Quanti buoni semi sono stati seminati in questi pochi giorni!" (Discorso del Santo Padre ai benefattori ed agli organizzatori della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, 20 luglio 2008)

Il Papa all'Angelus: "Dobbiamo rimanere fedeli al ‘sì’ con cui abbiamo accolto l’offerta di amicizia da parte del Signore. Sappiamo che Egli non ci abbandonerà mai" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus a conclusione della GMG di Sydney, 20 luglio 2008)

Il Papa ai giovani : "È necessaria una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso..." (Omelia della Santa Messa a conclusione della GMG di Sydney, 20 luglio 2008)

Il Papa ai giovani:" La vita non è semplicemente accumulare, ed è ben più che avere successo. Essere veramente vivi è essere trasformati dal di dentro" (Omelia della Veglia di preghiera con i giovani sul tema della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, 19 luglio 2008)

Il Papa: "Gli abusi sessuali sui minori da parte dei preti sono misfatti che devono essere condannati in modo inequivocabile. Sono profondamente dispiaciuto" (Omelia della Santa Messa nella St. Mary’s Cathedral di Sydney, 19 luglio 2008)

Il Papa ai giovani in recupero: "I falsi dei sono sempre collegati all'adorazione dei beni materiali, dell’amore possessivo, del potere" (Discorso del Santo Padre in occasione dell'incontro con un gruppo di giovani disadattati nella comunità di recupero dell'Università di Notre Dame, Chiesa del Sacro Cuore di Sydney, 18 luglio 2008)

Il Papa ai leader cristiani: "Ogni elemento della struttura della Chiesa è importante; ma tutti vacillerebbero e crollerebbero senza la pietra angolare che è Cristo" (Discorso del Santo Padre in occasione dell'incontro ecumenico nella Cripta della St. Mary's Cathedral di Sydney, 18 luglio 2008)

Il Papa ai leader di altre religioni: "In un mondo minacciato da violenza, la voce concorde di chi ha spirito religioso stimola le nazioni a risolvere i conflitti con strumenti pacifici" (Discorso del Santo Padre in occasione dell'incontro con i rappresentanti di altre religioni nella Sala Capitolare della St. Mary's Cathedral di Sydney, 18 luglio 2008)

Il Papa ai giovani: "La vita non è governata dalla sorte, ma una ricerca del vero, del bene e del bello. Dio non può essere lasciato in panchina" (Discorso del Santo Padre in occasione della festa di accoglienza presso la baia di Barangaroo di Sydney, 17 luglio 2008)

Il Papa: "Possano i giovani riuniti qui per la Giornata mondiale della gioventù avere il coraggio di divenire santi. Coraggiose le scuse agli Aborigeni" (Discorso in occasione della Cerimonia di benvenuto presso la residenza dal Governatore Generale dell’Australia, 17 luglio 2008)

Il Papa: "Come dice Agostino, i nostri cuori non trovano riposo finché non riposino nel Signore. L'Australia è la grande terra meridionale dello Spirito Santo" (Messaggio del Santo Padre al popolo dell’Australia e ai giovani pellegrini della GMG, 13 luglio 2008)

Telegramma del Santo Padre al Presidente Napolitano. La risposta del Capo dello Stato

Telegrammi ai Capi di Stato dei Paesi sorvolati dal volo papale.



[Leggi tutto...]

"Caso Eluana": se i comunisti accusano le suore di crudeltà perché la amano...

Comunisti che danno lezioni di “pietas” ? Da che pulpito! Ormai siamo nel mondo alla rovescia: il mondo dell’ideologia dove il Bene è Male e il Male è Bene. E’ la prova che, come disse un giorno Adenauer, “anche in politica soltanto Cristo ci può salvare”.

di Antonio Socci


A proposito di Eluana Englaro, ieri La Stampa, in prima pagina, pubblicava l’articolo di Marina Garaventa che vive “più o meno nella stessa situazione in cui era Piergiorgio Welby”. A un certo punto la signora Garaventa si rivolge polemicamente a chi difende il diritto alla vita di Eluana e scrive: “propongo a questi signori di prendersi un anno sabbatico e offrirlo a Eluana: passare con lei giorni e notti, lavarla, curarle le piaghe, nutrirla, farla evacuare, urinare, girarla nel letto, accarezzarla, parlarle nell’attesa di una risposta che non verrà mai”.

E’ una provocazione salutare (NOTA 1). Ma forse la signora Garaventa non lo sa: ci sono suore, donne cristiane, che per Eluana stanno già facendo tutto questo da 14 anni, in silenzio e con gioia, e chiedono solo di poter continuare ad amarla. Suor Rosangela – leggo in una cronaca del Corriere - la conosce così bene da “intuire all’istante se ha mal di pancia o mal d’orecchio”. Eluana ogni mattina viene “alzata da letto, lavata, messa in poltrona. Quotidianamente la portiamo in palestra dove c’è un fisioterapista che le pratica la riabilitazione passiva”. Poi c’è la musica, le passeggiate in giardino e “qualche volta, soprattutto se le parla suor Rosangela, muove gli occhi”.

Proprio queste suore, queste fantastiche e umili donne del Cielo, senza fare alcuna polemica, senza lanciare “guerre ideologiche”, con dolcezza hanno detto: “vorremmo tanto dire al signor Englaro, se davvero la considera morta, di lasciarla qui da noi. Eluana è parte anche della nostra famiglia”. Le suore per tutti questi anni si sono prese cura di lei “come di una figlia”. Esprimono il “massimo rispetto” per “la sofferenza dei genitori di Eluana”, ma “con discrezione” chiedono loro di poter continuare ad accudirla e amarla. “Liberazione”, giornale di Rc, parla di Eluana come di “un corpo”. Invece la suora dice: “Per noi è semplicemente una persona e viene trattata come tale… E’ una ragazza bellissima”. L’editoriale di “Liberazione”, firmato da Angela Azzaro, ha dell’incredibile. Esordisce accusando la Chiesa di essere venuta meno al sentimento della pietas, “quel sentimento che ci rende partecipi del dolore e delle sofferenze altrui, che non ci fa girare le spalle, ma ci aiuta a uscire dall’egoismo, dal nostro bieco interesse”.

Con questa surreale premessa la Azzaro sentenzia: “Il massimo gesto di crudeltà lo hanno compiuto le suore Misericordine presso cui Eluana si trova. Conoscono il padre. Dicono di rispettarlo. Ma gli hanno chiesto di lasciare lì il corpo della figlia. Come se niente fosse. Come se in tutti questi anni la sua vita non fosse stata appesa a un filo, il filo che tiene in vita un corpo non più senziente e che a lui ha impedito di pensare ad altro, di elaborare il lutto, di ripensare forse più serenamente agli occhi di Eluana quando capivano”.

Viene da chiedersi se il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, non pensa di dover chiedere scusa per questo editoriale intitolato “Il sadismo alla scuola di Benedetto” ? E cosa ne pensano i Bertinotti e i Vendola? Le povere suore bersagliate dall’articolista non hanno sequestrato Eluana: fu portata lì dal padre e dalla madre nel 1994 perché era nata lì. Le suore rimasero perplesse, non sapevano se erano in grado di assisterla. Poi si resero conto che aveva bisogno solo di essere alimentata e amata, accudita come una bimba, e la presero nella loro famiglia, con tenerezza e dedizione.

Queste donne umili, che per 14 anni, in silenzio, l’hanno amata, lavata, alimentata, aiutata, meritano di prendersi lo schiaffo di “Liberazione” che parla di “crudeltà”? Le suore non impongono nulla, non sono loro a disporre della sorte di Eluana, né possono o vogliono trattenerla: hanno semplicemente dichiarato che sarebbero liete di continuare a prendersi cura di lei. Con discrezione e semplicità, rispettando tutti. Queste povere donne non hanno potere di decisione, hanno solo il loro amore da offrire. Ebbene secondo il “giornale comunista” (così si definisce), questo è “il massimo gesto di crudeltà”.

Sarebbe questa la cultura laica? Sulla Stampa si sfidano i “pro life” a prendersi cura di Eluana. Appurato poi che le suore lo fanno, da “Liberazione” si bersagliano con l’accusa di crudeltà. Mi pare evidente che il pregiudizio e l’ideologia accecano, cambiano il Bene in Male e il Male in Bene.

Certo, per chi si dice comunista l’amore cristiano (che è “amore del prossimo” e perfino “amore dei nemici”) è roba pericolosa. Casomai la storia comunista ha trafficato con la categoria e la pratica dell’ “odio di classe”. Loro credevano di poter sistemare il mondo e eliminare l’ingiustizia così, con l’ “odio”, l’antagonismo, la lotta, la rivoluzione. Il marxismo pretendeva di essere una “scienza”, non aveva bisogno di amare nessuno, neanche il proletariato: le stesse leggi ferree dell’economia avrebbero necessariamente portato al comunismo, il “paradiso in terra”. Così hanno costruito i loro inferni (dove sono stati macellati milioni di cristiani).

Oggi i contenuti delle diverse ideologie sembrano accantonati, ma restano certi furori, certi metodi e pregiudizi. Certe astrazioni. Ieri per esempio a pagina 10 dell’Unità, dove si esponevano le discutibili dichiarazioni della “Consulta di bioetica”, si diceva che definire con espressioni come “omicidio di stato” il lasciar morire Eluana significa pronunciare “parole al di là della decenza o della semplice ‘educazione’ ”.

Voltando pagina sempre l’Unità definiva però “assassinio di Stato” l’eventuale condanna a morte ed esecuzione di Tareq Aziz per le imputazioni relative agli anni in cui era dirigente del regime di Saddam Hussein. L’Unità intervista Marco Pannella che si batte perché “nessuno tocchi Caino” e – denunciando lui stesso le responsabilità di Aziz – definisce appunto “assassinio di stato” e “delitto” la sua eventuale esecuzione.

Premesso che siamo tutti contro la pena di morte e che nessuno deve toccare Caino, chiediamo a Pannella e all’Unità: invece Abele sì? Pannella parla di questa sua “battaglia di civiltà”, definisce un “misfatto” l’eventuale esecuzione capitale di Aziz, seppure colpevole, perché la vita umana non è a disposizione degli stati, ma poi, leggo in una agenzia, definisce la sentenza che autorizza la sospensione dell’alimentazione per Eluana come “affermazione della civiltà giuridica, umana e civile”. Stiamo parlando della eventuale morte di una ragazza per fame e per sete. E’ pur vero che non è autosufficiente e non pare cosciente, ma è viva.

Io non posso credere che Pannella e l’Italia, i quali rivendicano la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali come una conquista di civiltà, possano poi accettare una simile morte per Eluana. E’ pur vero che in quest’epoca di sbandamento si definisce conquista di civiltà anche l’aborto, ovvero la soppressione – tramite legge di stato – di migliaia e migliaia di piccole vite innocenti. Ma perché la vita di Caino va sempre e comunque protetta, qualunque cosa abbia fatto, e quella di Abele no?

La presenza silenziosa di quelle suore ci fa sapere che da 2000 anni, da quando è venuto Gesù, qualunque essere umano è amato. Un giornalista disse una volta a Madre Teresa di Calcutta che lui non avrebbe fatto ciò che faceva lei per tutto l’oro del mondo e lei rispose: “neanche io”. Ma per Gesù sì. Al di là della sentenza su Eluana, com’è possibile non provare rispetto e ammirazione per queste suore? Non è stupendo che esistano persone così? Sono appassionate a ogni essere umano com’era Gesù che ascoltava tutti, accoglieva tutti e “guariva tutti”. Sono capaci di questo amore per la vita umana perché amano, testimoniano e donano ciò che vale più della vita: Gesù stesso, la Grazia. Cioè la vita eterna, l’unica vera speranza che rende vittoriosi sul dolore e su “sorella morte”.

---

(1) Verrebbe da proporre però, analogamente, che quanti ritengono giusto lasciar morire Eluana secondo la sentenza che consente di fermare l’alimentazione e l’idratazione, le stessero accanto minuto dopo minuto per tutto il tempo in cui avrà fame e sete, fino alla morte.

Libero, 19 luglio 2008

[Leggi tutto...]

La 194 a vela

La barca di Vittorio e l'aborto di Valeria
Due come tutti noi


Lo spiacevole impalcarsi a giudici delle (altre) donne, per insegnare cosa dovrebbero o non dovrebbero fare dei loro legittimi consorti, lo lasciamo alle Lidie Ravera e al loro preteso femminismo, sinistrismo, moralismo. Non abbiamo mai puntato il dito sulle donne e le loro persone. Nemmeno su quelle che hanno abortito per partecipare ad un reality show. O per altri futili motivi, e ce ne sono. Non lo faremo nemmeno per una donna che ai piani alti del reality italiano c'è arrivata da tempo, Valeria Marini, e ora racconta della sua ultima gravidanza, per la quale era disposta a qualsiasi sacrificio". Solo che quando ha dato "la notizia a Vittorio, la sua risposta è stata: 'E come facciamo ad andare in barca?' ". Così che "di comune accordo abbiamo deciso di interrompere la gravidanza".

Quel che conta dire, senza la spocchia dell'avevamo detto, è esattamente ciò che nessuno vuol sentirsi dire: trent'anni di mentalità abortista hanno trasformato l'aborto dal "dramma" clandestino che una legge intendeva abolire in una banale pratica anticoncezionale.

Moralmente indifferente, comoda, a disposizione.

Per cui un bambino può valere meno di una gita in barca di una coppia mondana e facoltosa.

E' un problema morale, e non basta a rimuoverlo l'esistenza della legge. Invece la mentalità corrente è tale che la signora in questione ha pure specificato che un figlio oggi, lo vorrebbe pure adottare.

Ma "la legge italiana non me lo consente perchè sono single". Si dovrà fare dunque un'altra legge, per il nuovo desiderio?

Il Foglio, 8 luglio 2008


[Leggi tutto...]

Grande scienziato, ma pro-vita e contro Darwin. Meglio censurarlo…

Era un grande genetista ma contro l’aborto. Così Lejeune fu messo ai margini dal mondo scientifico…

di Francesco Agnoli


In Italia su di lui si sa molto poco. Gli unici quattro libri, a quanto mi consta, li ha pubblicati Cantagalli (l’ultimo è di Clara Lejeune, sua figlia: “La vita è una sfida”). Il suo nome è sconosciuto ai più, anche in tempi in cui di genetica si parla spesso. Eppure Jérôme Lejeune è uno dei grandi scienziati che ha fatto fare alla conoscenza umana un balzo in avanti.

Nato nel 1926 a Montrouge sur Seine, è infatti colui che ha scoperto la prima anomalia genetica, la trisomia 21, quella che determina la sindrome di down. Sino alla sua scoperta si credeva che il mongolismo fosse una tara razziale, oppure che fosse determinato da genitori alcolisti o sifilitici. Lejeune dimostrò che non vi era nulla di disdicevole nei genitori di quei bambini, nessuna contagiosità, in quelle creature in cui era avvenuta la triplicazione di un cromosoma, un eccesso di informazione genetica, e che vengono colpite nella facoltà dell’intelligenza, dell’astrazione, anche se conservano integre affettività e memoria. Lejeune per questa scoperta, e per altre che la seguirono, ottenne riconoscimenti internazionali, premi e onoreficenze. Divenne famoso e per lui fu creata la prima cattedra di Genetica Fondamentale all’Università di Parigi.

Ma Lejeune non era solo un ricercatore. Il suo intento fu sempre quello di guarire i suoi malati, così socievoli, così allegri, così fanciulleschi. “Se si riuscisse a scoprire come poter curare la trisomia 21 – scrive la figlia Clara – allora sì la strada sarebbe aperta per poter curare ogni altra malattia genetica”. Scoprire la prima aberrazione cromosomica è, nella mente di Lejeune, il primo passo per compiere l’opera del medico, che è, da sempre, quella di curare. Così anche la scoperta della diagnosi prenatale, a opera dell’amico di Lejeune, il professor Liley, originario della Nuova Zelanda, è collegata al desiderio di poter individuare quanto prima e curare più precocemente i bambini. Curare il prima possibile, in utero: è l’idea che entusiasma entrambi. Ma i due scienziati, che “si conoscono e si stimano”, “impotenti, assisteranno allo snaturamento delle loro scoperte”.

Infatti nel 1970 in Francia la proposta di legge Peyret apre il dibattito sull’aborto, sull’eliminazione dei bambini che sono identificati come portatori di handicap già prima della nascita. In quel momento, ricorda Clara, “l’unico handicap riconosciuto prima della nascita è la trisomia”. Lejeune, di fronte alla proposta Peyeret e al dibattito sull’aborto in generale, dinanzi alle menzogne sulla natura del feto o sul numero degli aborti clandestini, non riesce a tacere: sostiene la sacralità della vita, palesa il suo amore per i suoi piccoli malati, ovunque, arrivando ad affermare, all’Onu: “Ecco una istituzione per la salute che si trasforma in istituzione di morte”. Lejeune non è un ingenuo: sa di aver intrapreso una strada pericolosa fonte di innumerevoli antipatie. La sera stessa del suo discorso all’Onu, scrive alla moglie: “Oggi pomeriggio ho perduto il premio Nobel”. Ed è proprio così. Non garba, a coloro che lo insultano, a coloro che scrivono sui muri: “A morte Lejeune e i suoi mostriciattoli”, che qualcuno rivendichi con carità e con forza la verità, e lo faccia con l’evidenza della scienza.

Scrive Lejeune: “La genetica moderna si riassume in questo credo elementare: all’inizio è dato un messaggio, questo messaggio è nella vita, questo messaggio è la vita. Vera e propria perifrasi dell’inizio di un vecchio libro che ben conoscete, tale credo è quello del genetista più materialista possibile…”. In principio è il Logos, al principio della vita è l’informazione del dna, tutta già compresa nella prima cellula: “Tutto questo lo sappiamo con una certezza assoluta che vince ogni dubbio perché se tale informazione non fosse già contenuta in essa, non potrebbe entrarvi mai più; nessuna informazione, infatti, entra in un uovo dopo che sia stato fecondato”.

Per stroncare Lejeune le proveranno tutte: odio, molestie anche fisiche, controlli fiscali… Gli verrà negato l’avanzamento di carriera per ben 17 anni, verrà escluso dai congressi scientifici, gli verranno soppressi i crediti per la ricerca e negati i finanziamenti per i suoi pionieristici studi sull’acido folico per le mamme in gravidanza. Può continuare a lavorare grazie a sussidi americani, inglesi, neozelandesi. Si batte in questi anni per evitare il disastro nucleare, e confuta il darwinismo materialista e ideologico di Jacques Monod, che riduce l’uomo a un figlio del caso. In nome dei suoi studi di genetica Lejeune sostiene la credibilità di Adamo ed Eva e, anticipando di dieci anni le scoperte di Gould ed Eldredge, confuta il gradualismo step by step di Darwin, sostenendo che l’evoluzione ha dovuto per forza fare dei salti In ogni cosa, come padre di cinque figli, come scienziato, come polemista contro l’aborto e il darwinismo materialista, ciò che più colpiva, in lui, come rammenta la figlia, era “l’assenza di paura. Non aveva paura. Cosa si può fare contro un uomo che non desidera niente per se stesso?”. Timete Dominum et nihil aliud, diceva.

Il Foglio, 12 giugno 2008


[Leggi tutto...]

Il Birth Control alla luce del sole

Dal libro: “Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia”, nuova ed. ampliata, 1000 pagine con illustrazioni


R. Sumonds e M. Carder, autori del menzionato studio sui problemi della popolazione in rapporto alle nazioni unite, osservano: “Lord Caradon, in un rapporto alla Conferenza dell’Istituto per la Pianfinicazione Familiare di Santiago nel 1967, criticava le Nazioni unite e le Agenzie specializzate perché fino al 1965 non erano state prese da esse "azioni pratiche" a supporto dei programmi per il Birth Control [ ... ]. Anche se ammettessimo le critiche di Lord Caradon, l'influenza indiretta delle Agenzie del sistema delle Nazioni Unite non dovrebbe essere sottovalutata.

In primo luogo esse diffondevano immagini globali tali da essere universalmente accettate, che dimostravano come la popolazione raddoppiasse ogni trent'anni. Secondariamente le loro assemblee legislative contemplavano un foro nel quale attivare il dibattito sul diritto ai mezzi di pianificazione della famiglia e la necessità del birth control. “In terzo luogo, appena il corso degli eventi era favorevole a queste misure, le risoluzioni delle Nazioni Unite davano ad esse le legittimazione internazionale che rendeva più facile il cambio di atteggiamento dei leaders nazionali".

In altre parole: centralizzazione del birth control in un'unica sede, quella dell'ONU, e sua legittimazione internazionale - il vero, appunto, potere delle Nazioni Unite - passi indispensabili per ottenere un'azione incisiva e a largo raggio.
La Fondazione Rockefeller non perde tempo: 15,6 milioni di dollari sono iniettati nell'impresa solo fra il 1963 e il 1970; il dr. J.H. Knowles, presidente della Fondazione Rockefeller, il 14 marzo davanti al Consiglio Nazionale del Centro di sviluppo del Planning Family, potrà dichiarare:
“E’ ruolo del settore privato come di quello pubblico accelerare lo sviluppo degli aborti legali negli Stati Uniti da 1,2 a 1,8 milioni l’anno”

Da parte sua David Rockefeller, uno dei dirigenti dell' International Planned Parenthood Federation (Federazione Internazionale della Procreazione Pianificata, IPPF), creazione delle grandi Fondazioni cui aderiscono tutte le associazioni del Family Planning del mondo, circa 120, assume la direzione del progetto UNA (United Nations Association) - USA, da cui era sortito il rapporto che aveva impressionato il presidente Nixon.

Tale rapporto dichiarava che l'UNESCO doveva giovarsi in modo diretto dei sistemi scolastici per appoggiare la pianificazione familiare. Dovevano pertanto essere predisposti degli insegnamenti e programmi scolastici modificati in tal senso, al fine di incoraggiare fra gli studenti una "coscienza in materia di demografia e appropriate attitudini quanto alle dimensioni della famiglia". Nell'ottobre 1969 la Commissione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Internazionale diretta da Lester Pearson, Premio Nobel per la Pace 1957 e membro del CIIA, l'Istituto Affari Internazionali canadese, nominò una Commissione per la Popolazione , secondo l'esigenza formulata nel rapporto. La Commissione veniva finanziata nientemeno che dalla Banca Mondiale, istituita assieme al Fondo Monetario Internazionale nel 1944 a Bretton Woods (New Hampshire, USA) col nome di Banca per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Banca che si dichiarò disposta “a finanziare i mezzi necessari ai paesi membri per dar corso ai programmi relativi alla pianificazione delle famiglie".

Straordinaria coincidenza: la Banca Mondiale era allora diretta da Robert McNamara, membro dei Lucis Trust, organizzazione luciferina americana con sedi a New York, Londra e Ginevra, del CFR, dei Circoli Bilderberg, della Commissione Trilaterale, dell'lstituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, amministratore della Fondazione Ford e della Brooking Institution... organizzazioni controllate essenzialmente dal trio Oppenheimer, Rothschild, Rockefeller!
All'UNESCO, all'OMS, alla Commissione per la Popolazione si affiancava fin dal 1967 la U.N. Fund for Population Activities dotata di fondi che, stando al Guardian britannico del 15 febbraio 1973, passarono dal milione di dollari del 1967 ai 77 del 1973... e i frutti non tardarono a mostrarsi: nel solo Brasile 7,5 milioni di donne vennero sterilizzate grazie appunto ad un versamento di 3,2 milioni di dollari messi a disposizione da varie fondazioni e dall'ONU.

Diventa assai più razionale allora trovare spiegazioni ad apparenti contraddizioni come quelle di una UNICEF, che ad un tempo proclama l'Anno del Fanciullo e mostra di farsi paladina dei diritti e della protezione dell'infanzia, dopo avere, fidando nell'incapacità dell'uomo moderno - alluvionato dal bombardamento mediatico - di ritenere per lungo tempo la memoria degli avvenimenti, formulando dichiarazioni in senso opposto. Ecco infatti il pensiero dell'UNICEF in tema di diritto alla vita dei nascituri: "[...] non si otterrà una diminuzione del tasso delle nascite senza ricorso all'aborto, legale o illegale [...] Gli aborti provocati hanno un effetto molto più efficace per diminuire il tasso di natalità che l'utilizzo dei metodi contraccettivi”.

Ciò che colpisce e amareggia il cattolico, tanto più a fronte di situazioni come quella descritta, di patente contrasto con la morale e la tradizione cattolica, è il constatare come la gerarchia ecclesiastica sempre più si presti a far da cassa di risonanza alle iniziative ONUsiane, solitamente offrendo ad esse forte sostegno. Allo stesso tempo appare di evidenza solare come l'Alta Loggia spinga in direzione di un nuovo ordine mondiale nel quale la Chiesa Cattolica , forzata a tradire la sua missione, in qualche modo è considerata una componente fra le altre, in grado di fare avanzare il processo mediante un contributo attivo al piano generale, contributo che nello specifico sembra identificarsi nel ruolo organizzativo di un sincretismo di tutte le religioni. E, se contra factum non valet argumentum, purtroppo è giocoforza constatare, dopo avere assistito ai Pantheon di Assisi nel 1986, di Roma nel 1987, di Varsavia nel 1989, di Bari nel 1990, di Malta nel 1991, di Bruxelles nel 1992… - emolti altri! - che non si tratta più di incidenti di percorso, ma di tappe di un cammino voluto, iniziato col Concilio Vaticano II, che procede di pari passo con le iniziative ONUsiane e quindi delle logge massoniche.

Nella "bibbia" - ormai centenaria - della massoneria, Morals and Dogma, composta da Albert Pike, Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, nonché fondatore del famigerato Ku-Klux-Klan, si trova un passaggio che spiega esaurientemente eventi come quello di Assisi: "[…] Attorno agli altari della massoneria il Cristiano, l'Ebreo, il Mussulmano, il Buddista, il seguace di Confucio e Zoroastro possono unirsi come fratelli e accomunarmi nella preghiera al solo Dio che è al di sopra di tutti gli dei”..


Odio per l'umanità

Il già menzionato documento dell'ONU riconosceva nel 1972 la necessità dì attuare alcune misure per rendere efficace il birth control sia in Occidente che fra i poverissimi del Terzo Mondo:

- “diffondere il profilattico, "uno dei primi gradini [...] la cui presenza dovrà essere massiva e a basso prezzo" (p. 91)

- “promozione di matrimoni tardivi e modelli di famiglia ridotta, programmi di istruzione sulla pianificazione familiare, incentivi ai partecipanti al programma..." (p. 81) accompagnati da un'azione tendente a "creare un tipo di donna con alternative alla gravidanza" (p. 85)

- includere gli orientamenti (del Family Planning, N.d.A.) nelle materie di studio delle scuole mediche "per legittimare la pianificazione della famiglia come disciplina appartenente all'area della medicina" (p. 89)

- combattere l'idea cristiana di astinenza: essa "non promuove la salute mentale e i rapporti piacevoli fra mariti e mogli... il metodo non è né accettabile né efficace... e sostanzialmente incrementa il tasso degli aborti..." (p. 90)

- la sterilizzazione chirurgica, ampiamente adottata a Puerto Rico dove nel 1965 risultavano sterilizzate un terzo delle donne, mentre a Madras, nel novembre 1968, 5,3 milioni di persone avevano subito l'intervento (p. 100). (Giova peraltro segnalare che la sterilizzazione è nel frattempo diventata il contraccettivo più diffuso e che secondo le Nazioni Unite nella sola India sono già stati sottoposti a vasectomia il 70% dei maschi.

- promuovere l'aborto come mezzo anticoncezionale: "come l'evidenza dimostra, molti sono pervenuti ad avere coscienza che l'aborto può costituire oggi l’unico metodo di largo impiego adottato per il birth control su scala mondiale" (p. 101).

Il documento allega una tabella da cui si evince che in Giappone fra il 1959 e il 1965 furono effettuati 6.860.000 aborti con "sole" 278 donne decedute, e focalizza il problema cruciale sul minimizzare rischi alla donna e i costi (p. 107) che a livello nazionale richiedono un’attenta valutazione economica (p. 111). Di particolare interesse, aggiunge, sarà un prodotto orale per l'aborto sicuro: tale prodotto “sarà meritevole di alta priorità internazionale" (p. 108).

E la Upjohn , la Robins , la Dalkon Shield , ditte farmaceutiche del gruppo Rockefeller specializzate in contraccettivi, accolsero con zelo l'appello, anche se, per prima, bisogna darne atto, nel dicembre 1986, giunse la Roussel-Uclaf del gruppo tedesco Hoechst con l'ormai nota pillola abortiva RU 486.

"Monsieur RU 486” , come è già chiamato il suo inventore, è un professore israelita, Etienne-Emile Arrodi Beaulieu, che si aggiunge al funesto terzetto che ha devastato la natalità in Francia: Lucien Neuwirt, promotore della legge sulla regolazione delle nascite, Simone Veil, ex deportata di Auschwitz, presente alle sedute del Grande Oriente di Francia, ministro della Sanità in diversi governi francesi, dirigente dell'Alleanza Israelita Universale, e quel Pierre-Félix Simon di cui si è già parlato.

La RU 486, definita "pesticida umano" dal prof. Jerome Lejeune. ordinario di genetica all'Università di Parigi, venne introdotta in Francia nell'ottobre 1988 dal Ministero della Sanità, mentre sono note le polemiche sorte in Italia nell'anno successivo; nello stesso periodo è stato stipulato un accordo con la Cina e un sostanzioso contratto con l'Organizzazione Mondiale della Sanità per la vendita massiva nel paesi poveri.

La pillola abortiva RU 486 negli Stati Uniti è disponibile dal 1996, dopo che è stato raggiunto un accordo fra amministrazione Clinton e la Roussel-Uclaf per il trasferimento dei brevetti e della tecnologia al Population Council di New York. Ma la cosa non sembra priva di inconvenienti: lo stesso New York Times, giornale dell?Establishment americano, non potè nascondere gli effetti della pillola che viene adottata fino alla settima settimana di gravidanza: “Gli aborti indotti dalla RU 486 sono assai dolorosi poiché l’espulsione dell’embrione può durare alcuni giorni. La procedura tipica prevede per una donna 3 o 4 visite da un medico. Circa una donna su 500 ha bisogno di trasfusione dopo aver assunto la pillola”




David Rockefeller (1915 - )
Uno di punta dell’Alta Finanza, presente nel Lucis Trust, membro della Pilgrim’s Society, del CFR, partecipe fin dal 1955 a tutte le sessioni annuali dei Circoli Bilderberg. Fondatore nel 1973 della Trilateral Commission, presidente mondiale dei Family Planning, fondatore del Group of Thirty e del Center for Inter-American Relations.

Secondo il rabbino Malcolm H. Stern, Rockefeller è di discendenza ebraica. Stern lo include nel suo Americans of Jewish Descent (americani di discendenza ebraica).

Le sue banche controllano centinaia di multinazionali della farmaceutica, agrochimica, ecc.

Indubbiamente uno dei più potenti uomini del pianeta!



[Leggi tutto...]

E se stessero preparando il saccheggio della Sicilia?

Ecco come il federalismo fiscale puo' affondare l'Isola e le Regioni "deboli"

Sono troppi i boatos sull’imminente svolta che dovrebbe assumere la finanza italiana perché si possa ancora far finta di ignorare quanto questa svolta ci riguardi da vicino.

di Massimo Costa


È di pochi giorni fa la “resa” di Tremonti, che ha dichiarato forfait su tutte le promesse elettorali di calo della pressione fiscale (eccetto l’ICI, con tutte le contraddizioni che ben sappiamo e che ci riguardano assai da vicino in quanto siciliani) in assenza del “federalismo fiscale”; federalismo che peraltro la Lega sbandiera come ragion d’essere della sua permanenza nella maggioranza.

Ma è anche più recente l’indiretta risposta del nostro Governo Regionale che ha progettato un’imposizione autonoma sui profitti energetici (sub specie di tributo ambientale per non incorrere nelle reprimende di Bruxelles), in uno con la rivendicazione, ormai decennale, dei Siciliani a fruire di prezzi alla pompa più vicini a quelli di un paese produttore ed esportatore netto (come la Sicilia sarebbe, se considerata a sé) che non a quelli di un paese consumatore e importatore netto (come la Sicilia è, se considerata tout court parte d’Italia). Beninteso, quest’ultimo è un diritto costituzionale “sacrosanto” dell’Autonomia Siciliana (ma, ancor prima, proprio di ogni elementare logica economica: non si vede perché “perequare” con trasferimenti finanziari di “dubbio” esito a favore di una regione economicamente debole ma di per sé ricca di risorse, quando sarebbe molto più semplice ed efficace lasciarle parte delle risorse stesse). E tuttavia le difficoltà, a Roma come a Bruxelles, sono e saranno (come sono state in passato) tutte eminentemente politiche e stupisce – anzi non stupisce a pensarci bene – il modesto spazio mediatico che una tale serie di provvedimenti ha trovato sinora, modesto ed esclusivamente nell’informativa regionale, in specie “orientale”, laddove invece tutti i cittadini dovrebbero aprirsi gli occhi e sapere qual è la reale posta in gioco.

A queste premesse di fatto ne va aggiunta una di diritto. Il “federalismo fiscale” progettato per le 15 regioni a statuto ordinario (o, in parte, anche per le altre 4 a statuto speciale) è una pallida immagine di quello radicale già disposto dallo Statuto Siciliano.

In una sentenza non troppo lontana della Corte Costituzionale (la 111 del 1999 richiamata poco dopo nella 138 dello stesso anno) si riconosce che le disposizioni attuative (del 1965) dello Statuto in maniera finanziaria (le uniche applicabili intanto, anche se perfettibili) costruivano un ordinamento finanziario “allontanatosi dal disegno originariamente sotteso alla formula testuale dell’art. 36 dello Statuto”, fondato su “una potestà impositiva del tutto autonoma della Regione, in spazi lasciati liberi dalla legislazione tributaria dello stato” (ovviamente “del tutto” pur sempre nell’ambito dei principi generali della legislazione italiana, cioè secondo un principio di potestà legislativa concorrente e non esclusiva in materia tributaria).

Il diverso disegno istituzionale, nonché la diversa disponibilità di risorse naturali (cui andrebbero aggiunte quelle “culturali” concentrate in Sicilia in maniera incomparabilmente più densa rispetto ad altre regioni italiane), suggerirebbero una soluzione diversa rispetto a quella che si prospetta per le Regioni del Sud propriamente detto, e questo sia pur in presenza di una base produttiva e di livelli di reddito pro-capite sostanzialmente omogenei tra Sud continentale e Sicilia.

Ma non vogliamo ora fare “propaganda” di questo sistema o di quest’altro. Ci limitiamo – in questa sede – a tentare di fare chiarezza sui tanti tipi di “federalismo fiscale” possibili, in modo che il dibattito non sia fuorviato da luoghi comuni e che le scelte di campo siano fatte in modo più consapevole. Ci sia consentito dire che i rapporti tra centro e periferia possono – in astratto – essere regolati dai seguenti 7 modelli:

- accentramento fiscale totale;

- accentramento fiscale parziale;

- decentramento di sola spesa;

- federalismo fiscale “coloniale”;

- federalismo fiscale “solidale”;

- federalismo fiscale “radicale”;

- separazione totale (o pressoché tale) delle finanze.

Nel primo caso (accentramento totale), semplicemente, non esistono enti locali. Se esistono sono enti a totale finanza derivata. Spendono su capitoli di spesa disposti dal centro. In pratica non sono altro che organi periferici dello stato (anche se nominalmente detentori di autonoma personalità giuridica). Se ne parla solo per completezza, trattandosi di un modello del tutto superato.

Nel secondo caso (accentramento parziale) l’autonomia di bilancio degli enti è reale. Essi tuttavia dispongono di finanziamenti in “plafond” stabiliti dal centro che possono moderatamente destinare in modo alternativo così come possono manovrare, entro limiti molto stretti, taluni tributi istituiti dallo Stato e destinati al finanziamento delle loro spese. È il sistema in vigore per gli enti locali propriamente detti e non è pensabile al momento una soluzione del genere per le regioni. Si può anche dire che questo è il sistema tradizionale di finanziamento delle regioni a statuto ordinario, progressivamente superato dagli interventi degli ultimi anni.

Nel terzo caso (decentramento di sola spesa) le entrate sono garantite dallo stato (almeno entro certi limiti) e l’ente ha un’autonomia, ampia e reale, nel destinarne la spesa. Nella sua forma più pura questo è stato il modello tradizionale della finanza siciliana. I gettiti “riscossi” (non quelli “prodotti”) nell’Isola andavano (e vanno) alle finanze regionali, le quali ne hanno fatto più o meno l’uso che ne volevano, con pochi adempimenti statali realmente trasferiti dallo Stato alla Regione. Il risultato di quest’autonomia finanziaria monca, valida solo dal lato della spesa ma non da quello dell’entrata, è sotto gli occhi di tutti: l’amministratore, deresponsabilizzato sulle entrate e sui servizi pubblici essenziali, ma autonomo sul fronte della spesa, ha costruito nel tempo una “azienda di erogazione pura”, destinata essenzialmente alla distribuzione di molti stipendi e di pochi servizi pubblici, tipica di un’economia assistita e clientelare.

Nel quarto caso (federalismo coloniale) – che se non si erra è quello invocato dalla Lega e speriamo non coincida con quello pensato da Tremonti – ogni Regione trattiene una quota maggioritaria dei tributi riscossi nel territorio e ne versa una piccola parte alle finanze centrali. Queste, oltre all’oneroso servizio del debito pubblico, si limiterebbero a spenderla su capitoli non ripartibili per regione (difesa, progetti d’interesse nazionale) e in piccola parte le redistribuirebbero al territorio, possibilmente in modo perequativo. In questo modo, fatalmente, il gettito andrebbe tutto o quasi nelle regioni in cui hanno sede legale le maggiori imprese italiane non tenendo conto del fatto che, in realtà, i presupposti d’imposta si formano in maniera diffusa su tutto il territorio. Di fatto si tratterebbe di una colossale rapina ai danni delle regioni più povere che diventerebbero, pertanto, sempre più povere e sempre più rapidamente tali.

Nel quinto caso (federalismo solidale), oltre a tener conto dell’effettiva distribuzione del verificarsi dei presupposti d’imposta (e non dei luoghi fisici di riscossione), lo Stato si dovrebbe impegnare a garantire, con una quota significativa di compartecipazione alle entrate tributarie, a redistribuire i proventi tributari non certo a pioggia o in funzione di chi ha più bisogno, ma in modo da garantire una spesa pro capite minima sui servizi legati ai diritti di cittadinanza, in modo che questi siano uniformi nel territorio statale (a prescindere dal grado di efficienza degli amministratori locali) e in modo da garantire un riequilibrio del gap infrastrutturale che è alla base delle differenze di produttività e delle differenze economiche in genere. I vantaggi di questo federalismo sarebbero quelli di innescare una sana competizione tra le aree del paese, di stimolare l’efficienza della spesa pubblica e di garantire, al contempo, la coesione necessaria ad una finanza unitaria. A nostro sommesso avviso solo questa forma, e non altra, è ad oggi praticabile per le regioni del Sud continentale senza minare l’unità politica dello stato italiano. Sarebbe bene, quindi, che proprio da quelle regioni si levasse qualche voce in più a difesa dei diritti di cittadinanza dei meridionali. Diverso il discorso per le due isole maggiori ed in specie per la Sicilia come si dirà immediatamente sotto.

Nel sesto caso, infatti, (federalismo radicale), la Regione ha potestà tributaria parzialmente o totalmente autonoma (nei limiti di alcuni principi fondamentali stabiliti dallo Stato), fatte salve poche e distinte perequazioni (e tributi erariali per contro) stabiliti tassativamente dalla Costituzione o da legge costituzionale. E questo è proprio il disposto originario del nostro Statuto. Quello che attende ancora applicazione dopo più di 60 anni.

Che questo sia il più adatto per la Sicilia è facilmente dimostrabile. Oggi l’Italia lucra, solo dai prodotti energetici, una somma annua superiore all’intero bilancio della Regione Siciliana. Con la stessa cifra la Sicilia potrebbe rinunciare a qualunque trasferimento dallo Stato (tranne quello ex art. 38, ma lì la storia sarebbe lunga da riprendere in questa sede) ed anzi assumersi tutti i servizi che lo Stato oggi eroga in Sicilia. Potrebbe, solo per fare un esempio particolarmente importante ed attuale, rassicurare scuole e università siciliane, facendosi carico di quanto lo Stato sta tagliando nella sua ritirata generale dalla ricerca e dalla formazione in Sicilia, anzi potrebbe destinare risorse aggiuntive.

Di recente si è letto su una agenzia giornalistica nazionale che Milano “sarebbe” la città che produce più reddito in Italia. Niente di più assurdo. A parte il fatto che nozioni elementari di economia aziendale dovrebbero far conoscere la congetturalità estrema di queste ripartizioni “per comune” dei redditi prodotti, c’è l’ovvia considerazione che la “capitale morale”(?) d’Italia è sede di tutte le maggiori imprese, tra cui molte banche, per non dir altro, che fanno profitti in Sicilia e altrove. Se la Sicilia (e altrove) fossero stati esteri quello stesso reddito non si conterebbe più come “prodotto a Milano”, ferma restando l’organizzazione produttiva delle aziende in parola.

Il settimo caso (completa separazione delle finanze) è invece solo un caso di scuola. Esso è né più né meno che l’indipendenza delle regioni come quella dei paesi del Commonwealth rispetto al Regno Unito. Lo si riporta per sottolineare la stoltezza di chi dice “ognuno si tenga le sue tasse, ma nel quadro dell’unità d’Italia”. Se “ognuno si tiene le sue tasse” non c’è più nessuna “unità d’Italia”!


Il fatto che l’applicazione dello Statuto sia l’unica via per far valer i propri diritti in questo momento storico dovrebbe spingere ad unire tutte le forze politiche siciliane, ché ogni divisione in questo momento sarebbe solo una debolezza. Non è più il tempo di “sommesse preghiere”. Lo Stato sta letteralmente fuggendo dal Sud e dall’Isola e non pare ci sia verso di trattenerlo. Non può però pretendere al contempo di fare cassa con decine di miliardi di euro che dall’Isola provengono e che all’Isola non tornano più. Su questo bisogna essere chiari e duri. Anche nei confronti di Tremonti. Anche per chi milita nel Pdl. Sappiamo bene che sull’attuazione del federalismo fiscale siciliano è già caduto Alessi, è stata fatta saltare l’Alta Corte, è stato boicottato e distrutto il Milazzismo, e qualche altra ombra si getta anche su altri episodi più recenti. Sappiamo che sul petrolio e sull’energia si rischia grosso, molto grosso, e ci vuole molto, molto coraggio. Ma l’alternativa è permettere il saccheggio finale e la desertificazione definitiva per l’economia siciliana. E noi non possiamo affatto permettercelo.

SiciliaInformazioni, 17 luglio 2008


[Leggi tutto...]

sabato 12 luglio 2008

Lombardo: via libera al saccheggio dei Beni Culturali

PALERMO – Le Ferrovie dello Stato sono state privatizzate e i risultati li vediamo: stazioni abbandonate, preda dei vandali, treni sporchi, tempi di percorrenzaall’insegna dell’incertezza. Costo dei biglietti alle stelle. Le Poste, le mitiche Poste italiane? Meglio non parlarne. La telefonia fissa? Adsl più lenta e cara d’Europa, costi elevati e trucchetti vari per spennare i consumatori. Ora, a quanto pare, tocca ai Beni Culturali. Si, sbarazziamoci anche degli ultimi gioielli di famiglia.

Se ne parla da qualche giorno, il settimanale “centonove” sul suo portale ha annunciato con questo lancio i contenuti di un ampio servizio pubblicato sulle pagine del giornale in edicola oggi: “I Beni culturali ai privati. E’ la proposta dell’assessore regionale Antonello Antinoro, analizzata nel servizio di Centonove in edicola. Mercoledì 9 all’Ars l’esponente Udc ha annunciato che costituirà una commissione di intellettuali e religiosi per censire il patrimonio artistico siciliano. “Per rendere redditizia la gestione dei beni culturali – ha dichiarato l’assessore – dobbiamo affidare ad un privato di qualità il pacchetto completo di un sito turistico per trent’anni. In cambio, i privati dovranno garantirci un canone fisso e alcune opere da realizzare nell’indotto”. La proposta dell’affidamento delle bellezze culturali siciliane ha scatenato una ridda di reazioni. Se da una parte il governatore Raffaele Lombardo ha espresso parere positivo, dall’altra il presidente dell’Assemblea regionale ritiene paradossale la privatizzazione. Tra i contrari, anche il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, il presidente del consorzio turistico Valle dei Templi, Gaetano Pendolino e il presidente regionale di Legambiente, Mimmo Fontana.”.

Il nuovo assessore regionale dei Beni Culturali Antinoro in poche parole smentisce il suo predecessore su quella stessa poltrona, l’onorevole Lino Leanza (MPA), che invece aveva molto da ridire sulla privatizzazione di “appena” qualche servizio legato ai beni culturali siciliani, come quello di biglietteria e di caffetteria. Passi per il caffè, ma gli impiegati regionali evidentemente non erano in grado di staccare un biglietto d’ingresso? Assurdo. In quel caso – affermava Leanza – a fare l’affare erano state solo le società che avevano preso l’appalto delle biglietterie, certamente non la Regione..

Il catalogo delle offerte per i privati è rappresentato da siti archeologici, Musei, palazzi storici, castelli e via discorrendo. Ci sono piramidi di reperti chiusi nei magazzini delle soprintendenze. Ogni giorno in qualche parte della Sicilia, anche la più isolata e sconosciuta, il classico “pizzo di montagna”, emergono testimonianze del passato: solo nell’area Spadafora-Villafranca Tirrena, durante i lavori in corso per il raddoppio della rete del metano, sono state raccolte almeno seicento cassette di reperti archeologici. Reperti, in molti casi, di grande interesse. Figuriamo nel resto dell’isola, dove basta veramente affondare la zappetta, non la pala dell’escavatore, per fare “bingo”. Siamo in un posto del mondo, notizia di questi giorni, dove anche opere d’arte recenti, due disegni di Guttuso, si possono trovare sorprendentemente accanto ai cassonetti della spazzatura…

In questo ricco scenario, ai fini dello sfruttamento della nostra storia per scopi turistico-commerciali, la strategia è sempre stata quella di uno Stato (regione autonoma in questo caso) preoccupato della ricerca scientifica e del mantenimento di questi calamitatori economici; i privati invece fanno affari (e non pochi) per la presenza dei monumenti, grazie alle strutture ricettive, al commercio e così via discorrendo. Antinoro vorrebbe dare i monumenti, i musei, i castelli, i siti archeologici ai privati. Un po’ per chiudere il cerchio, un po’ per ammettere una volta di più che lo Stato non è in grado di gestire sapientemente nulla, pur avendo mezzi, risorse e solide leggi. Una disfatta che tutto sommato rende inutile persino l’azione politica, che forse vedremo privatizzata anch’essa, prima o poi. Se il dibattito è aperto e la commissione (vedremo se gratuita) costituita, la certezza è che non se ne farà nulla. La proposta di Antinoro è già fallita in partenza, perché le eventuali mire dei privati, che agiscono con logiche che poco hanno a che fare con la “schiumazza” del politico di turno, sono rivolte a un solo bene. Uno: il “Teatro Antico di Taormina”. Qui abita l’eventuale business. Altrove? Forse la valle dei Templi (ma è molto dispersiva), forse Siracusa (ma ospita solo le tragedie). Taormina no, è tutta un’altra storia, qui arrivano turisti da ogni dove come incantati da un pifferaio magico, qui al Teatro Antico si fanno i concerti, anche di musica rock, si è tenuto persino il Festivalbar…, gente come Fiorello fa fare il pienone e incassi record agli impresari. Quindi, e si accettano scommesse, se qualche privato si facesse davvero avanti, l’interesse lo avrebbe solo per questo sito. Se la tesi Antinoro passerà ci libereremo dell’unico monumento “produttivo”, perdendo un mare di soldi. E non si può neanche dire che si cambia tutto per non cambiare nulla, poiché un imprenditore si riempirà certamente le tasche al posto della regione, a cui resteranno le briciole e tanto rammarico di facciata per l’ennesima scelta sbagliata.

Strettoindispensabile.it, 11 luglio 2008


[Leggi tutto...]

Capo d'Orlando: Sindoni colpisce ancora, anche se...

Il 4 luglio scorso, l'amministrazione comunale di Capo d'Orlando ha cambiato il nome a piazza Garibaldi, reintitolandola "IV Luglio" in ricordo del 4 luglio 1299, quando sulla spiaggia e nelle acque del mare antistante la cittadina del messinese, si combattè una tremenda battaglia nella quale non ci furono prigionieri, ma dove perirono 6.000 Siciliani.

Voglio fare una considerazione in punta di piedi: ma tra i tanti eventi storici e personaggi illustri della storia Siciliana, giusto giusto il 4 luglio doveva farsi venire in mente il Sindaco Sindoni, che è, guarda caso, il compleanno proprio di Giuseppe Garibaldi?

Visto poi che il Comune di Capo d'Orlando non intende farci sapere contro chi fu combattuta una tale tragica battaglia (ben 6.000 morti!), la vicenda ha un certo non so che d'aria pirandelliana.

[Leggi tutto...]

Federica, che viene uccisa nel "paradiso" senza crocifissi...

Lloret de Mar come metafora del nostro tempo...

I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli – la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?

di Antonio Socci


Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.

Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.

Continuava ricordando quando si lanciò la crociata perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso...’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.

Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.

”Ora” proseguiva quella donna americana “ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l'uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.

Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.

Un grande economista come Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.

Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.

Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani. Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” - che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?

L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all'inferno”.

Libero, 11 luglio 2008

[Leggi tutto...]

L'Unione Mediterranea di Sarkozy, minaccia di isolamento per la Sicilia

La progettata Unione Mediterranea di Sarkozy, paradossalmente, costituisce un'ulteriore minaccia di isolamento per la Sicilia. E' ora che politici, economisti, imprenditori, intellettuali della nostra terra, in una parola la "classe dirigente" (se ne abbiamo una) affrontino il problema, vitale per la nostra esistenza.

di Massimo Costa


Infatti lo storico "scavalcamento" che le istituzioni statali italiane hanno fatto finora di ogni nostra prerogativa nel rappresentarci all'interno delle istituzioni europee, se appariva al limite accettabile nei rapporti con una realtà percepita come "lontana" (Bruxelles) diventa assurdo se dobbiamo essere "rappresentati" a casa nostra, nel Mediterraneo.

Cosa succederà in pratica? Che i paesi "forti" della sponda Nord del Mediterraneo (di cui facciamo parte solo nominalmente anche noi) si interfacceranno, si integreranno progressivamente con le economie, con le società dei paesi della sponda Sud. In questo creeranno rapporti diretti, infrastrutture, etc. che legheranno direttamente Parigi, Roma, Madrid, forse anche Lisbona, Milano ed Atene, alle grandi capitali del Sud: Il Cairo, Tunisi, Gerusalemme,...

Si badi che tutto ciò non ha molto a che vedere con l'integrazione "politica" europea, oggi oggetto di non pochi e giustificati ripensamenti. Si tratta, in fondo, di un'integrazione sociale ed economica, di fatto funzionalista, da guardare in modo molto più benevolo rispetto ai progetti di "superstato" europeo.

Ma dov'è la Sicilia in questo processo? Semplicemente non c'è! Né istituzionalmente, o politicamente, o economicamente o infrastrutturalmente. L'isola, sequestrata dal suo Mediterraneo è come "ibernata" al centro del Mar Glaciale Artico. Il Mediterraneo si avvia ad integrarsi "a ciambella" con un bel buco al suo centro che brilla per la sua assenza. E questa assenza è alla base politica per la mancanza di soggettualità politica propria della nostra isola (a dispetto di vaghe e vuote disposizioni della recente riforma del Titolo V che lascerebbero intendere che invece qualche manovra in tal senso sia possibile).

Per andare a parlare con i tunisini o con i libici dovremo passare da Roma, o addirittura dalla Malpensa!. Cioè saremo - in una parola - fuori dal Mediterraneo! Cioè fuori da casa nostra! Non ci riferiamo soltanto agli spostamenti logistici o agli snodi infrastrutturali, ma soprattutto ai centri decisionali. Se anche per caso (vedi metanodotti o reti di cablaggio) qualche infrastruttura dovesse passare da casa nostra per ovvi motivi geografici (la Sicilia E' al centro del Mediterraneo) i relativi centri decisionali e finanche le manutenzioni sarebbero decise e/o fatte da fuori. Un po' come la progettata "banca del mediterraneo" con sede a ...Napoli o le produzioni di "Raimed" progressivamente centralizzate...a Roma!

Bisogna avere il coraggio di dirlo con chiarezza: la rappresentanza/mediazione italiana ci taglia fuori dal Mediterraneo, e questa volta per sempre o chissà per quanto tempo.

Se la Sicilia avesse soggettualità politica propria essa sarebbe sede naturale per tale tipo di pacifica integrazione. E infatti pare che non lo sarà. Il segretariato permanente che si andrà a costituire avrà sede a Malta (incredibile!) o a Tunisi.

Ma basta guardare una carta geografica qualunque del Mediterraneo per vedere che è la Sicilia il centro del Mediterraneo e non altri paesi e che in Sicilia, e in nessun altro posto, può aver luogo il baricentro di questa integrazione. Perché si cerca un "bersaglio" vicino al centro e si evita il centro stesso? Perché l'Italia non fa della Sicilia (che in teoria ne fa parte) la base per la propria politica di integrazione euromediterranea? E' amaro rispondere, ma la realtà sembra proprio essere che l'Italia non considera la Sicilia pienamente Italia, ma solo "appartenente" all'Italia.

Se la sentisse Italia la candiderebbe immediatamente a questo ruolo. Non lo fa. E tutto ciò fa pendant con affermazioni leggermente, e involontariamente, offensive come quelle del premier secondo cui con il "ponte" diventeremmo "italiani al 100 %", candida confessione di un'alterità percepita dallo stato italiano e della maggior parte della sua opinione pubblica nei confronti della propria più vasta regione.

Oggi Palermo, antica capitale della Sicilia, pur disponendo di un patrimonio culturale e umano di prim'ordine, e nonostante tutto di una certa "vivibilità" dovuta più all'attaccamento dei cittadini alla propria comunità che non ad una sciatta amministrazione comunale (almeno se confrontata ai drammi del napoletano e di altri grandi centri urbani del sud), sperimenta un vuoto di ruolo e un decadimento che ha pochi pari nel suo passato.

Palermo, naturale capitale della Sicilia e del Mediterraneo, oggi insidiata da altre città della stessa isola, pur esse in relativo declino, è l'unica che potrebbe "distribuire" i benefici di tale ubicazione a tutta l'isola senza mortificare i sentimenti di nessuno, anzi sviluppando diverse vocazioni nelle altre aree urbane della nostra terra che a questa principale resterebbero connesse. Mentre una scelta diversa (Siracusa? Catania? Mazara?) avrebbe il sapore di un definitivo declassamento quasi a carattere punitivo (chissà poi perché) della maggiore città siciliana, creando frustrazioni e lacerazioni poi difficilmente recuperabili.

Peraltro Palermo, e non altra città, è stata in passato teatro di uno dei più fecondi incontri tra le civiltà euromediterranee. Ci riferiamo ai fasti della corte normanna e sveva, il cui faro di luce si proietta ancora sull'attualità e su di un possibile futuro di convivenza. Perché no alla città di Federico II o dei Ruggeri e invece sì alla capitale tunisina o a uno "scoglio" in mezzo al mare come Malta che ha il solo merito di essersi "salvata" dal Risorgimento per mezzo della colonizzazione britannica? Il passato non torna ma può assumere valori simbolici elevati.

L'Unione Mediterranea potrebbe essere un'occasione unica per porre davvero (e non solo geograficamente) la Sicilia al centro del Mediterraneo e, con ciò, di avviare un percorso di riscatto della Sicilia da cui trarrebbe beneficio, nel medio termine, anche l'Italia meridionale e forse l'intero paese. Essa è forse l'ultimo treno per non avviare un percorso di sfaldamento dell'unità politica italiana che, viceversa, appare ineluttabile; e per di più a costo quasi nullo per le esauste finanze italiane. Essa sarebbe un modo per mettere finalmente in pace le legittime e secolari aspirazioni autonomistiche dei Siciliani, sancite nel loro ancora inapplicato Statuto, con una solidarietà, leale collaborazione, unità, con le istituzioni centrali italiane (ed europee) che potrebbe avviare solo un percorso virtuoso.

E invece non è così. E non si sentono grandi voci a sostegno di ciò né nella politica italiana (nemmeno da parte dei non pochi siciliani che in essa hanno ruoli di rilievo) né in quella siciliana. Ma non si vuol far torto a nessuno in particolare. Forse le emergenze meritano maggior attenzione. Ma di emergenza in emergenza si rischia di perdere di vista quelli che sono i nodi strategici per il nostro futuro.

La Sicilia pretenda, allora, in alternativa, due "sane" rivendicazioni: o di essere posta al centro delle istituzioni euromediterranee (con le ricadute infrastrutturali ed economiche che tutto ciò comporterà), o di partecipare con una "partenrship" separata a questo processo di integrazione, minacciando di saltare l'intermediazione italiana se questa si continuerà a rivelare "straniera in casa propria". Quest'ultima potrebbe sembrare un'idea strana ma non sarebbe poi la prima volta che un paese non completamente sovrano partecipa autonomamente ad una istituzione internazionale (senza andare troppo lontano, la Bielorussia e l'Ucraina facevano parte dell'ONU anche ai tempi dell'Unione Sovietica come stati a sé).

La storia insegna che i periodi luminosi della Sicilia sono stati quelli, e solo quelli, in cui il Mediterraneo è stato al centro del mondo e libero di essere navigato. Quando è diventato un muro e la Sicilia si è trovata al "capolinea" del mondo è stata decadenza. Lasciare il "muro" intorno a noi quando tutto intorno sta cadendo sarebbe un suicidio, anzi un "genocidio" di cui non vorremmo che proprio il sistema politico italiano si rendesse responsabile.

Dalla sensibilità dei politici siciliani, ma soprattutto dell'opinione pubblica qualificata su questo tema, dipende gran parte del nostro futuro.

SiciliaInformazioni, 9 luglio 2008


[Leggi tutto...]