venerdì 31 ottobre 2008

Sulla tanto decantata dominazione araba in Sicilia

Dal blog A Rarika, riporto un analisi storica "contro corrente" della dominazione araba in Sicilia. Analisi realizzata e pubblicata da Forza Nuova Palermo:

La dominazione araba in Sicilia

Qui riporterò solo un passaggio:

Esemplare fu l’uccisione del siracusano Niceta di Tarso, acerrimo nemico del Profeta di Allah e dei suoi seguaci. Catturato con molti altri nella chiesa del San Salvatore, fu scorticato dal petto in giù e gli venne strappato il cuore quindi si accanirono ulteriormente su di lui finendolo a morsi e a colpi di pietra.

FONTE: A Rarika

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domenica 26 ottobre 2008

A chi fa paura il MIS?

Era il 19 ottobre del 1944, e il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia stava celebrando il proprio primo congresso in una Taormina gravemente ferita dalla guerra.

Guerra che, in quella stessa giornata, portò a Palermo la gente in piazza, fiaccata dalla fame di pane e di libertà. Ne nacque un pacifico torrenziale corteo, capeggiato dai ragazzi della Lega Giovanile Separatista, la punta di diamante del MIS.

La repressione italiana che stava rioccupando militarmente e politicamente la Sicilia per proseguire quel dissennato sfruttamento coloniale che dura acremente ancora oggi, non si fece attendere. Il vice prefetto Pampillonia chiese l'intervento dell'esercito italiano per bloccare la folla vociante ma inerme che si dirigeva verso Palazzo Comitini, sede della Prefettura. Intervennero, guidati dal sottotenente Calogero Lo Sardo, scaglioni del 139° fanteria della Divisione Sabauda, che immediatamente aprirono il fuoco ad altezza d'uomo e lanciando numerose bombe a mano contro la folla, lasciando sul terreno tra 21 e 26 (o secondo alcuni addirittura più) caduti e oltre 150 feriti.


Si consumò così la oggi obliata e nascosta "strage di via Maqueda" a Palermo, l'autentica "bloody sunday" siciliana.

Il MIS non scomparve, nonostante quello e altri episodi: arresti arbitrari di dirigenti, militanti e simpatizzanti, chiusura forzata di quasi tutte le sedi, e l'Eccidio di "Murazzu Ruttu" del 17 giugno 1945. Si giunse allo scontro armato fra Italia e Sicilia, culminato nella battaglia di San Mauro del 29 dicembre 1945. Cui seguì la "concessione" dell'autonomia, malvista dagli indipendentisti ma accettata per evitare altro spargimento di sangue.

La quasi immediata neutralizzazione dell'autonomia con la completa riassimilazione politica e amministrativa (ma non culturale) della Sicilia all'Italia è cronaca attuale.

Ma gli indipendentisti e il MIS non sono scomparsi. E sono proprio i giovani, ancora una volta a Palermo, a gridare con forza l'orgoglio siciliano e a portare avanti la lotta per l'indipendenza.

Così come non è sparita la repressione italiana.

Lasciamo la parola su fatti più recenti ad una nota dei giovani militanti del MIS di Palermo.

«Il MIS (Movimento per l'Indipendenza della Sicilia) riappare alla visione pubblica di Palermo con degli striscioni sui ponti delle rotonde di viale Lazio, di viale Leonardo da Vinci e sul ponte di via Pitrè, nell'atto di commemorare l'atroce strage di via Maqueda del 19 ottobre 1944, avvenuta da parte dell'esercito italiano ai danni dell'inerme e disarmata popolazione palermitana che chiedeva pane e indipendenza.

Ebbene, quegli striscioni sono apparsi la notte del 16 ottobre 2008, per svanire la sera successiva: qualcuno li ha deliberatamente fatti sparire. È fin troppo chiaro che vi sia "qualcuno" cui non sta a genio che il MIS riappaia e che commemori simili fatti di sangue in cui lo Stato italiano appare come il "cattivo" di turno.

Come chiamare questa, se non "repressione"?

Si vieta di fatto, in una situazione che si pretende (ma non è, per nulla) democratica, l'esposizione di idee scomode per qualcuno, negando il diritto sacrosanto all'espressione della propria opinione e dei propri ideali, oltre che di fatti storici ampiamente documentati anche da immagini di cui pare "qualcuno" abbia paura di ricacciare fuori dal polveroso armadio, fatti storici che l'Italia vorrebbe non dover mai più tirar fuori.

Eppure sono fatti avvenuti, fatti che riguardano molto da vicino i rapporti tra la Sicilia e l'Italia, fatti che fanno male e paura.

È soddisfacente sapere che qualcuno teme simili manifestazioni, come quella dell'esposizione di simili striscioni commemorativi.

È soddisfacente perché evidentemente qualcuno teme, ha paura... ma cosa teme, esattamente?

Il MIS non è morto come qualcuno vorrebbe che fosse.

Non è morto e lo dimostrerà»
.

Catania, 19 Ottuviru 2008

A cura dell'Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.



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Il massacro di cristiani non interessa l'Occidente

Sul blog A Rarika, Orazio Vasta ha messo insieme tutte le notizie riguardanti l'attuale massacro di cristiani in India.

Orissa: il pogrom contro i cristiani


I cristiani stanno rispondendo ai massacri da veri martiri, rispondendo con la non violenza! Ancora una volta i cristiani rappresentano nella storia dell'umanità un faro di civilizzazione! Ovviamente l'occidente nichilista e materialista fa lo struzzo: neanche una condanna ufficiale! E pensare che in occasione del discorso di Ratisbona di Benedetto XVI (che ha aperto il dialogo tra la Chiesa e il mondo musulmano), le diplomazie occidentali si premurarono di dare supporto alle rivolte scatenate in tutto l'Islam.

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sabato 25 ottobre 2008

Firmata la dichiarazione di guerra

Siamo legalmente in guerra con l'Italia!

Dal blog Il Consiglio:

“Spettava allo Stato e, per esso, al presidente del Consiglio dei Ministri, adottare il decreto con cui, il 29 gennaio scorso, è stata disposta la sospensione dell'allora governatore siciliano Salvatore Cuffaro dalla carica di deputato regionale e di presidente della Regione siciliana”


L'argomento di oggi è di quelli che mai vorremmo trovarci tra le mani, a metà tra il blasfemo ed il trascendentale. Uno di quegli argomenti che a prima vista potrebbero fare solo del male a chi li propone, lasciandolo esposto alla pubblica gogna ed additato come esempio negativo. Ma noi con abnegazione lo affronteremo a testa bassa. Ed allora bando agli indugi. Profferiamo la bestemmia.

I Siciliani, tutti i Siciliani, diano a Cesare quel che è di Cesare e rendano omaggio al più grande eroe che, in un epoca così avara di coraggio, abbia avuto la Sicilia dal 1992 ad oggi:

Salvatore Cuffaro, detto Totò.

Siete ancora qui? Non avete cambiato sito e cancellato questo per sempre dai vostri preferiti? Ed allora continuiamo.

Totò, che dopo averne combinate di cotte e di crude inspiegabilmente decise contrito di dimettersi dalla sua poltrona presidenziale. Decisione peraltro convenientemente presa battendo sul filo di lana i pervertiti del governo Prodi che basiti di fronte alla mossa a sorpresa non colsero l'attimo e ritardarono quel tanto che bastava la firma dell'atto di sospensione.

Totò che poi fece ricorso alla corte costituzionale contro il provvedimento, dimostrando così una assoluta ignoranza della res publica che fino a pochi giorni prima presiedeva.

Oggi la corte costituzionale ha rigettato quel ricorso con decisione assolutamente arbitraria ed illegale. Non doveva infatti il Presidente siciliano fare ricorso a quell'organo, e non dovrebbe l'organo suddetto emanare alcun verdetto, essendo di fatto incompetente in materia.

Sappiamo tutti che l'organo competente è l'Alta Corte che al contrario di quanto molti credono esiste ancora (non essendo possibile abolirla legalmente senza eliminarla dallo Statuto) ma non è funzionante in quanto lo stesso Cuffaro (tra gli altri) non ha nominato i membri di competenza del governo regionale.

Ma allora perchè dovremmo ringraziare il nostro Totò? Perchè grazie alla sua incompetenza siamo su di una strada a senso unico. Non possiamo più tornare indietro. Dobbiamo arrivare allo scontro.

La sentenza fraudolentemente emanata dalla corte costituzionale rende esplicito il conflitto tra lo stato italiano e la Nazione Siciliana. Da oggi siamo legalmente in guerra.

In campo aperto non ci sono più scogli dietro cui nascondersi. E precisiamo ancora una volta: lo Statuto non è morto, ma per la prima volta è stato violato in maniera chiara ed esplicita dallo stato italiano. Abbiamo legalmente le mani libere.

E questo significa un'altra cosa: l'attuale presidente, Raffaele Lombardo, è con le spalle al muro. Non ha più spazi né scuse. O contrattacca o si consegna al nemico in una resa incondizionata.

E se fino a qualche giorno fa Lombardo andava sostenuto nel suo scontro con Arcore, oggi va anche incalzato senza pietà e con la massima durezza: faccia qualcosa o si levi di torno.

Grazie, Totò.


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mercoledì 15 ottobre 2008

Una "moneta" siciliana? Una provocazione... seria

Riceviamo da L'Altra Sicilia e molto volentieri pubblichiamo.

La recente tempesta dei mercati valutari dimostra quanto illusoria sia l'immagine di una globalizzazione che sani ogni squilibrio. Nessuno dice che alla base della crisi finanziaria c'è una crisi monetaria. Il sistema basato sul dollaro carta-straccia è entrato in crisi irreversibile.
Eppure noi Siciliani abbiamo ancora una carta da giocare, e non smettiamo di ricordarlo, quella dell'art. 40. Riportiamo così, per la sua incredibile attualità, un nostro editoriale di qualche tempo fa.


***

L'Altra Sicilia ha sempre privilegiato il realismo ed il rispetto "almeno" dello Statuto del 1946 rispetto a fughe in avanti di difficile comprensione e perciò pericolose.

Già nella nostra "Carta" abbiamo osservato che il rispetto sostanziale dell'art. 40 dello Statuto (quello formale non è più pensabile perché è cambiato il mondo delle valute dal 1946 ad oggi) possa realizzarsi soltanto "regionalizzando" l'autorità di emissione monetaria e di controllo sul credito, facendo partecipare intanto la Sicilia al sistema europeo delle banche centrali come un paese a sé.

Non andavamo oltre perché ci sembrava (e ci sembra) improponibile mettere in agenda politica rivendicazioni "monetarie e creditizie" più avanzate di questa, almeno in questa fase storica. Già questa prima rivendicazione però sarebbe di per sé rivoluzionaria.

Sul controllo siciliano del credito non c'è nemmeno bisogno di soffermarsi tanto è ovvio quanto la subalternità del sistema bancario isolano a quello italico abbia stritolato la nostra economia. Emettendo banconote e monete in euro come gli altri stati sovrani la Sicilia intanto riscuoterebbe quel diritto di signoraggio che le spetta e che oggi è un'imposta occulta che versiamo ad una banca centrale che ha il solo grande merito di avere desertificato il sistema bancario siciliano. Nel nostro piccolo parteciperemmo alle politiche valutarie europee e l'eventuale surplus valutario (perché nel medio-lungo termine si andrebbe incontro a questo) se non proprio a beneficio diretto della Sicilia, ci servirebbe per contare di più in un'Europa in cui oggi non contiamo nulla in quanto pura colonia di un grande stato membro e non vera regione in esso integrata.

Ma - a ben pensarci - si può andare oltre. Se non proprio sul piano immediatamente politico, intanto su quello degli studi di fattibilità. Si comincia sempre così.

A parte il fatto che sono state introdotte talune sperimentazioni di "monete franche regionali" in alcuni länder tedeschi che potrebbero senza troppi problemi sperimentarsi anche in Sicilia per stimolare la domanda regionale e salvaguardare il potere d'acquisto della moneta, forse è giunto il momento di pensare a cosa succederebbe (in astratto, lo ripetiamo) se la Sicilia con un referendum decidesse di uscire dall'Unione Monetaria Europea, cioè se ripudiasse questo pezzo di carta chiamato euro e si dotasse di una moneta propria.

Che succederebbe alla Sicilia con una moneta distinta?
Sarebbero di più i vantaggi o gli svantaggi?
E, se fossero di più i vantaggi senza togliere niente a nessuno, perché soffrire come appendice malata di un continente in declino mentre in tutto il mondo i tassi di crescita impazziscono da un anno all'altro?
Non è che, per caso, gli unici paesi europei che non hanno aderito all'euro sono proprio i più dinamici e produttivi?
Vediamo di ragionare senza pregiudizi.

Intanto l'operazione avrebbe dei costi. Immaginiamo a Messina, o nei porti e negli aeroporti, il "fastidio" di dover cambiare moneta ad ogni viaggio e i costi che banchieri e cambiavalute imporrebbero ai consumatori. Questo sarebbe certo un costo. Da non sopravvalutare però. Gli euro, moneta forte del continente, girerebbero comunque abbondanti in Sicilia e sarebbero facilmente reperibili dai Siciliani in tutti gli istituti di credito. Il fastidio maggiore sarebbe per i turisti italiani ed europei costretti a cambiare all'arrivo in Sicilia o a sopportare negli acquisti un cambio meno favorevole.

Passato il primo shock, però, diventerebbe una cosa normale, come si fa ogni volta che si viaggia ed anzi diventerebbe quasi un fatto "esotico", come un souvenir di viaggio.

Dal punto di vista dell'immagine questo cementerebbe il senso di appartenenza ad una comunità da parte dei Siciliani e la traduzione in prassi quotidiana della banale osservazione geografica che la Sicilia non è propriamente in Europa ma è una terra d'incontro e di transizione tra Europa, Africa e Asia. Sarebbe cioè il portato normale del progetto "Sicilia zona franca", terra di incontro e di libero scambio al centro del Vecchio Mondo.

Questa moneta poi sarebbe agganciata naturalmente alle monete più forti, garantita cioè da riserva valutarie ed auree, le prime soprattutto in euro, ma anche in sterline e dollari e via via in Franchi svizzeri, Yen, etc.

Cosa cambierebbe nella vita di tutti i giorni?

Una politica valutaria attenta e libera da Francoforte e da Roma, affidata ad esperti economisti, ci consentirebbe (entro certi limiti) una relativa fluttuazione, ma anche un controllo più stretto sul potere d'acquisto di una moneta "nostra" che non ci sfuggirebbe di mano come è accaduto già con la "liretta" e peggio con l'euro.

Una moneta siciliana non favorirebbe certo una integrazione totale dei mercati distributivi e sarebbe una parziale barriera occulta alla concorrenza esterna. Lo sanno bene gli inglesi e gli scandinavi che infatti non ne vogliono sapere. Infatti chi è al centro di una grande Europa, anche se paese povero come la Repubblica Ceca o la Romania, ha tutto da guadagnare da un'integrazione economica e monetaria che lo può vedere agire da protagonista nella produzione o nella distribuzione di beni. Chi è alla periferia fatalmente resta tale in tutti i sensi e fatalmente si deve approvvigionare di beni che per raggiungere il suo paese vedono lievitare al massimo i costi.

Con la moneta a sé si incentivano produzioni locali, magari non altrettanto efficienti di quelle europee ma con benefici che ricadono nel territorio e con un apporto dall'esterno limitato ai beni davvero competitivi. Ovviamente per controllare il potere d'acquisto di una moneta non basta la moneta stessa, ma ci vuole la concorrenza.

Se "Zona franca" dev'essere, dev'esserlo in tutti i sensi e quindi senza alcuna limitazione di concorrenza. Quindi prodotti interni a prezzi competitivi dove possibile, altrimenti prodotti esterni al miglior prezzo possibile e da dove che sia (tutto il contrario di oggi poiché la concorrenza è solo un'ideologia di regime che vale solo per far valere le politiche industriali italiane di esportazione in Sicilia dei loro beni e servizi non solo a discapito dei produttori siciliani ma anche di quelli stranieri).

E poi?
Poi ci sarebbero i cambi con l'euro che decidono tutto. Stando alle magre statistiche di oggi sembrerebbe che la povera "Onza" debba svalutarsi continuamente sull'"Euro". Secondo noi questo sarebbe vero solo nel breve termine (da tre a cinque anni), il tempo di assestare il nuovo sistema economico e tagliare con il vecchio. In questo caso i consumi "di lusso" si contrarrebbero di molto nell'isola, ma per contro i salari diventerebbero (a parità di retribuzione nominale) più competitivi, le nostre merci più competitive e la bilancia dei pagamenti nei confronti dell'Europa tenderebbe spontaneamente a riequilibrarsi. Per contro la vendita dei prodotti energetici al continente (in euro o in dollari) ci vedrebbe più ricchi e compenserebbe l'impoverimento derivante dalla svalutazione.
Ma nel medio-lungo termine la situazione non potrebbe che rovesciarsi. Già oggi la bilancia commerciale dei prodotti energetici per la Sicilia è deficitaria solo perché si rilevano come importazioni le materie prime provenienti dall'estero ma non si rilevano come esportazioni i prodotti finiti energetici esportati in Continente (perché ad oggi sono considerate transazioni interne); se a questo si aggiungono i benefici derivanti dall'esportazione di prodotti energetici che oggi la Sicilia "regala" al Continente, nonché in benefici derivanti dalla complessiva devoluzione fiscale degli artt.36-40 nonché dal progetto di "Sicilia Zona Franca", con uno statuto doganale, tributario e finanziario peculiare e con il Porto Franco di Messina, l'effetto netto sarebbe quello di un vero e proprio boom commerciale. Non mancano i rischi però. Innanzi tutto una "ritorsione italiana" che potrebbe durare anche qualche decennio mirante a colpire i prodotti della "regione ribelle" sia sul territorio italiano sia su quello europeo (e gli strumenti politici non mancano); ma anche un doveroso progressivo necessario taglio dei "trasferimenti" dalla finanza continentale (italiana e comunitaria) che farebbero rallentare i consumi.

Quale l'effetto netto di vettori di segno opposto e di intensità difficilmente valutabile?

Non si può stimare a priori senza approfondite ricerche. In sintesi però gli esiti possibili sarebbero due o tre:
- un persistente deficit siciliano verso il Continente nonostante tutto (meno probabile in tempi di scarsità di risorse energetiche e comunque improponibile nel lungo termine per una terra naturalmente ricca come la Sicilia) per le cui conseguenze si veda quanto detto sopra;
- un sostanziale equilibrio che porterebbe ad un cambio puramente nominale della valuta (un po' come la Danimarca che rispetto all'Europa non ha nessuno svantaggio ma neanche nessun vantaggio di avere una moneta separata, se non quello identitario che a noi peraltro non pare affatto secondario);
- un progressivo surplus tra Sicilia e Continente. Poiché a noi pare che prima o poi questa sarà la strada, proviamo a immaginare cosa significherà per la Sicilia trasformarsi in una Svizzera al centro del Mediterraneo.

L'apprezzamento dell'Onza sull'Euro ci farà diventare più ricchi: diminuirà il disagio sociale e potremo acquistare di più dall'esterno, riequilibrando così i nostri conti con l'estero.

La diminuità competitività dei nostri prodotti sarà soltanto relativa perché si tratta di beni in cui ci troviamo in posizione di rendita: beni naturali ed ambientali, posizione geografica strategica, risorse energetiche. Beni, cioè, a domanda relativamente rigida.

Se l'autonomia monetaria sarà accompagnata da un massiccio investimento in formazione e ricerca, la ricchezza culturale e la creatività dei Siciliani faranno il resto. Per contro la vendita di prodotti energetici in dollari o euro potrebbe smorzare la portata di questa risorsa in regime di cambi crescenti. Ma la prospettiva di rialzo dei prezzi energetici dovrebbe in ogni caso risolversi in nostro favore. Semmai il problema di tanta ricchezza sarebbe quello di distribuirla in parte con i paesi mediterranei (soprattutto la Tunisia) per evitare che i dislivelli crescano oltre misura. Il surplus verso l'Europa la Sicilia dovrebbe riversarlo in un "Piano Marshall" per il Maghreb, anche per garantirsi un contesto confinante di pace e prosperità. Forse il tema meriterebbe un vero e proprio libro, un "Libro Verde sulla Zona Franca Siciliana e sulla moneta separata" per valutare con maggiore attenzione la fattibilità e convenienza economica di una tale operazione.
Ma, poi, se ci fosse la convenienza economica, perché mai non tradurla in fattibilità politica?
Forse, però, questo è un tabù. Per molti italiani (e purtroppo anche per molti siciliani) se la Sicilia fa parte dell'Italia parlare di autonomia monetaria è semplicemente vietato per definizione. Anche se in fondo molti paesi europei concedevano ai loro territori d'oltremare una moneta separata; perché non considerare la Sicilia un territorio italiano d'Oltremare?

Forse la vera scelta è tra la dipendenza e l'indipendenza economica. La strada da noi tracciata indirizzerebbe la Sicilia verso un'autosufficienza economica che ci farebbe più liberi (magari nell'immediato un po' più poveri, poi più ricchi, ma da subito più liberi); al contrario la strada attuale è quella di una dipendenza economica senza sbocchi, di un'economia asfittica e assistita, dove poi fatalmente tutta la società va in cancrena e fiorisce solo il malaffare.

A Noi la scelta tra queste due vie, solo a Noi, per il bene dei nostri figli e per il futuro della Nostra Patria.

L'Altra Sicilia-Antudo!

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domenica 12 ottobre 2008

Un intelligente appello all'UNITA'

Ricevo dall'amico Orazio Vasta (blog A Rarika) e molto volentieri pubblico.

Senza preamboli e politichese, i nazionalitari di questo blog non siamo "autonomisti" e neanche "separatisti".

Appunto, siamo "nazionalitari".


Ci poniamo come area d'opinione - non siamo un movimento politico, per adesso... - e non c'identifichiamo con nessun partito o movimento "sicilianista" o "indipendentista"...

Abbiamo seguito con interesse la proposta del Partito del Sud, siamo apertamente amici del Fronte Nazionale Siciliano e abbiamo una corsia preferenziale con Roman Clarke(Mis)... ma non facciamo parte di queste forze politiche...

Quando sosteniamo che siamo contro il "partito unico" della Trinakria, non intendiamo dire che siamo contro l'UNITA' di quest'area. Anzi, sosteniamo che nella sua OGGETTIVA diversità storica, ideologica, religiosa e strutturale sta la vera UNITA' di un'aera eterogenea che mira all'indipendenza della Sicilia.

Le ammucchiate "siamo tutti fratelli" non c'incantano! E, politicamente, sono destinate alla sconfitta.
Com'è già successo!

L'UNITA' DELL'AREA INDIPENDENTISTA - noi preferiamo chiamarla NAZIONALITARIA - non si costituisce con le "ammucchiate" o le "annessioni", ma con il percorso da compiere dentro il sentiero della LOTTA NON-VIOLENTA PER L'AUTODETERMINAZIONE, AUTODETERMINAZIONE CHE DEVE ESSERE LIBERAZIONE SOCIALE e non solo conquista dell'Indipendenza nazionale...


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martedì 7 ottobre 2008

La me patria

di Turi Lima


La me patria è sta terra ca mi fici,
unni jittài lu primu lamentu,
unni l' aceddi vòlanu filici,
unni chiù chiaru è lu firmamentu.
La me patria su' st' àrvuli ciuruti;
stu mari azzurru, lìmpidu e lucenti,
li glòrii di li sèculi pirduti,
è Mungibeddu ccu lu focu ardenti.
La me patria è la fami, è lu duluri
di stu pòpulu sempri marturiatu,
sunu li peni, sunu li turturi
e li làcrimi amari c' ha' jittatu
sutta la mmorsa di lu sfruttaturi:
e a sta patria ci dugnu lu me ciatu.

FONTE: A Rarika

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Ismail Kadare, la Serbia, la Kosova e la fede originale degli albanesi: il cristianesimo

Il più noto ed importante scrittore albanese, Ismail Kadare (nella foto), riguardo la situazione della Kosova dopo la proclamazione dell’indipendenza ha dichiarato a “Globus” - rivista croata: “Gli albanesi sono stati un popolo straniero in Serbia. Loro non hanno nulla in comune dal punto di vista culturale con i serbi. Gli albanesi hanno una cultura e lingua diversa e per anni hanno dovuto vivere sotto l’amministrazione serba. Questo non è assurdo, è tragico...

di Orazio Vasta


Una delle basi della strategia serba contro gli albanesi è stata la loro religione. Certi che l'Europa cristiana avrebbe comunque appoggiato i serbi ortodossi contro gli "albanesi musulmani", hanno fatto tutto il possibile perché la colorazione musulmana degli albanesi venisse messa in grandissimo risalto. E questo veniva accompagnato dallo sforzo contrario: minimizzare, e se possibile far sparire, la fede originale degli albanesi, il cristianesimo. Il fatto che né l'Europa né gli Stati Uniti siano caduti in questa trappola barbara costituisce una vittoria della civiltà occidentale, che si è svincolata con coraggio dai criminali serbi, salvando così la coscienza della cristianità europea da una grave macchia. Questo atto di emancipazione euro-americano avrà apprezzabili conseguenze positive nei rapporti dell'Occidente attuale con tutto il mondo musulmano. E forse non è casuale il fatto che all'origine di questo atto ci sia il popolo albanese, questo popolo che può essere criticato per molte cose, ma non smetterà mai di essere elogiato per una ragione meravigliosa: la tolleranza religiosa. Gli albanesi hanno tre religioni: sono cattolici, musulmani e ortodossi. Da autentici balcanici quali sono, possono essersi scontrati per tanti motivi, ma mai per la religione. Questa immagine di civilizzazione risultava eccessivamente fastidiosa per i progetti antialbanesi dei serbi: perciò hanno fatto tutti gli sforzi possibili per romperla”.

29 settembre 2008
FONTE: A Rarika

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