domenica 17 febbraio 2008

Cattolici "adulti"

Cattolici "adulti", ovvero come in Nord Europa i cattolici si sono bevuti il cervello. O forse vogliono solo spararla più grossa degli anglicani nella rincorsa a cercare di compiacere le élite radicali e nichiliste del vecchio continente. Pochi giorni fa, era toccato nientemeno che all'arcivescovo di Canterbury, capo della chiesa d'Inghilterra (lo stesso che aveva deriso la natività), chiedere di introdurre nell'ordinamento inglese alcuni elementi della sharia, la legge islamica. Oggi i cattolici olandesi propongono di ribattezzare la Quaresima in "Ramadan Cattolico", mentre i vescovi tedeschi aprono a unioni gay e ai preti sposati.


«Ramadan cattolico». L'Olanda ribattezza la Quaresima

L’idea della Chiesa per raccogliere fondi: «Nessuno conosce l’evento cristiano, tutti quello islamico. Così ci faremo capire»

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I vescovi tedeschi aprono a unioni gay e ai preti sposati

La svolta dell’arcivescovo Robert Zollitsch, nuovo presidente della Conferenza Episcopale tedesca: «Il celibato non è un precetto divino»...

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Lampedusa provincia di Bergamo?

Dietro invito di Orazio Vasta (blog a rarika), esprimo anch'io la mia opinione sulla vicenda del referendum proposto dal vicesindaco del comune di Lampedusa per chiedere l'annessione dell'isola alla provincia di Bergamo.

C'è già chi ci vede la mano lunga del regime tosco-padano (leggi post Piatto tipico sul blog Il Consiglio). C'è chi poi, come il vice segretario del FNS, Fabio Cannizzario, rivendica la sicilianità di Lampedusa (leggi comunicato stampa).

Io ritengo che i Lampedusani non siano degli sprovveduti e che siano stufi d'essere trattati come cittadini di serie B dalla Regione. Sinceramente, non credo che ci siano piani della Lega Nord per papparsi un pezzo strategico del territorio siciliano. Né credo che i Lampedusani non si sentano Siciliani. Una cosa è l'identità nazionale, altra cosa è l'amministrazione di un territorio. Anche se tutti noi vorremmo uno Stato Siciliano degno di questo nome, che governi degnamente tutta l'Isola di Trinakria e tutte le sue isole minori, trovandoci ben lungi da questa chimera, i cittadini si arrangiano come possono. Soprattutto se si trovano "lontani" dalla mainland, giusto per utilizzare un linguaggio mutuato dalle molto meglio governate isole britanniche!

Ovviamente posso sbagliarmi, ma mi piace rimanere con i piedi per terra e credere che a Lampedusa la gente sappia quello che fa.

Mi sento semmai di lanciare a mia volta una provocazione ai partiti siciliani per chiedere loro: come mai Lampedusa si ritrova un vicesindaco leghista? Possibile che nell'isola non vi fosse un'offerta elettorale costituita da partiti siciliani alternativi alla Lega Nord e ai partiti colonialisti italiani?

A me pare che se i Lampedusani hanno votato un vicesindaco della Lega Nord bisogna prenderne atto e rispettare la volontà popolare.

Ritengo che i partiti siciliani debbano soltanto trarne una lezione per il futuro.

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I musulmani dei Balcani ci trascineranno in guerra

Stavolta con Belgrado ci sarà Putin. Si rischia lo scontro globale...

di Renato Farina


Venti torbidi da est tornano. Il cuore musulmano dei Balcani, che solo la nostra stupidità ha reso presuntuoso e temerario, batte il tam tam delle armi. I nomi sono familiari, perennemente legati a guerre: Serbia e Kosovo. Già nel 1999 ci coinvolsero nei loro guai. Il governo D'Alema, con la supervisione di un Kossiga più che mai con la kappa di amerikano, senza voto del Parlamento, senza consenso dell'Onu chiamò l'Italia a parteciparvi nelle file della Nato. Era stato Clinton a volere l'intervento. La guerra durò tre mesi, senza truppe di terra: bombardamenti missilistici, duetremila morti. Il Kosovo ora sta per proclamare probabilmente domenica prossima - la sua indipendenza dalla Serbia, che non ne vuole sapere, e si opporrà con ogni mezzo. Si era proposto a Belgrado uno scambio: ingoiate il rospo e noi vi ammettiamo con procedura d'urgenza nell'Europa Unita. Hanno risposto: noi non vendiamo i nostri figli, lì ci sono le nostre radici. E hanno pure ragione. Sarebbe come dare l'indipendenza a Roma perché col tempo la maggioranza degli abitanti è diventata musulmana-marocchina. In Kosovo-Metohija il popolo cristiano-serbo ha cercato di resistere agli ottomani. A Kosovo Polje, nel 1389, fu sconfitto. Così pure il secolo dopo. I serbi venerano quel luogo come la terra dei loro eroi. Ci hanno costruito monasteri. Con il tempo gli albanesi sono diventati maggioranza. Per come si sono messe le cose, ora ci toccherà sostenere l'indipendenza del Kosovo. L'America che ha già strizzato l'occhio ai turchi, ora lo rifà con gli albanesi. Speriamo nella diplomazia, altrimenti non sarà come nel 1999. Non sarà stavolta un conflitto locale. Germania, Francia, Regno Unito e Italia riconosceranno il Kosovo per bloccare le velleità armate della Serbia. Ma se dovessero muoversi i carri armati di Belgrado l'intervento della Nato non sarà automatico. Se accadesse questa volta si allargheranno incendi spaventosi. Infatti la Russia non è più lo Stato affranto e ancora fragile di Eltsin. Ora lo zar Putin è alla te- sta di un Paese tornato ricco, con l'arma dell'energia con cui ricattare l'Europa. Sorveglia, non può permettere che il principio di autodeterminazione etnica, fatto valere dagli albanesi kosovari, contagi Abkhazia, Ossezia, Cecenia. Per far intendere che musica è pronto a suonare ha minacciato l'uso dei missili contro Kiev se l'Ucraina dovesse entrare a far parte della Nato. Non gli dispiace affatto poter allargare la sua sfera di influenza esplicita fino a un passo dal Mediterraneo. I serbi di recente hanno scelto leader sicuramente democratici. Ma per loro farsi tagliar via il Kosovo è impossibile, naziona- listi o no che siano i capi. Certo un Paese che perde una guerra paga pegno, e nel 1999 la sconfitta fu sonora. Ma è anche vero che i patti sono patti, e la perdita della sovranità non era prevista nelle carte. Oltretutto allora i bombardamenti della Nato furono legittimati da rapporti che a distanza di anni appaiono manipolati dalla volontà di intervento. La Serbia allora unita al Montenegro stava davvero praticando pulizia etnica nei confronti degli abitanti della sua provincia meridionale abitata in maggioranza da albanesi? Più probabile che fosse in corso una guerriglia capeggiata proprio da quell'Hashim Thaci propenso a farsi fotografare da sempre con il kalashnikov in mano. A quel tempo tutti accettammo tranquillamente l'idea che Milosevic, il presidente comunista, fosse l'orco. Orco senz'altro: ma forse non quella volta lì e non con gli albanesi. I quali erano e restano egemonizzati da una banda di guerriglieri o terroristi, l'Uck, di stampo marxista-musulmano. Come dire: il peggio del peggio. Non a caso oggi questa regione è la Mecca infame di corrieri di droga e trafficanti di schiavi. Dove lo sport preferito è la caccia al cristiano (serbo) e la trasformazione dei monasteri ortodossi in cloache. Ora in quella terra, sotto l'egi da dell'Onu, ci sono i soldati italiani. Cercano di difendere i pochi serbi che hanno resistito alla vera pulizia etnica scatenatasi dopo la sconfitta militare. Su 2.400.000 abitanti kosovari i serbi sono circa 70-80mila. Càmpano rinchiusi in territori vigilati dai nostri militari. Prima erano mezzo milione, ma sono dovuti scappare. A noi toccherà dar guerra per difendere ancora una base di terrorismo internazionale islamico e mafioso a un passo da casa nostra? Aveva ragione Cossiga, preso in giro da tutti, a prevedere per questi mesi una montagna di problemi.

Libero, 16 febbraio 2008

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Gay scatenati

Dal sito Fattisentire.net abbiamo estratto due articoli che ci informano degli ultimi deliri della lobby degli omossessuali:

1. Inghilterra: vietato dire mamma e papà

2. Roma, a lezione dai gay contro l’omofobia. E i corsi sono obbligatori


Inghilterra: vietato dire mamma e papà

Il ministro inglese per la scuola e per l’infanzia Ed Balls (nomen omen) ha deciso di vietare ai bambini delle elementari l’utilizzo dei termini «mamma» e «papà», i quali sarebbero gravemente offensivi nei confronti degli omosessuali…

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Roma, a lezione dai gay contro l’omofobia. E i corsi sono obbligatori

L’assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Roma ha deciso di mandare studenti, docenti e genitori a lezione di omosessualità. Il progetto coinvolge tre istituti superiori. L’obiettivo è combattere l’omofobia. Si comincia la prossima settimana e durerà fino ad aprile. Ma molte famiglie temono che ai ragazzi, nel delicato periodo dell’adolescenza, siano offerti dei modelli troppo alternativi rispetto a quelli tradizionali. Ed è già polemica.

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Manifestazione per un califfato in Danimarca

Questa è la Danimarca nell'anno del Signore 2008:



Il video è parte di un articolo pubblicato sul SIOE: Hizb-ut-tahrir’s demonstration for a caliphate in Denmark

Leggi anche: Muslims and AFA in a new alliance to destabilise the Danish society

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Piani concreti per uccidere il vignettista danese Kurt Westergaard

Nella mattina del 12 febbraio 2008 la polizia danese ha arrestato tre stranieri musulmani, residenti in Danimarca, che pianificavano di uccidere Kurt Westergaard, un vignettista dipendente del quotidiano danese Jyllands Posten.

Secondo Westergaard, che non teme per la propria vita ma per la libertà di stampa nel suo paese, dopo i disordini scatenati ad arte in seguito alla pubblicazione delle vignette su Maometto, la libertà di parola in Danimarca ha subito un colpo le cui conseguenze vengono nascoste al grande pubblico.

Un esempio della soppressione strisciante della libertà di parola - testimonia Westergaard - è il rifiuto del suo quotidino, il Jyllands Posten, di pubblicare un disegno dello stesso Westergaard che mostrava una donna musulmana ricoperta da vesti nere in cinta di una bomba.

All'inizio vi fu un lungo dibattito interno al giornale, ma alla fine la paura prevalse e si decise di non continuare con la pubblicazione della nuova vignetta.

Kurt Westergaard sa bene di cosa parla. Oggigiorno l'auto-censura è divenuta una pratica necessaria al quieto vivere tra i media danesi.



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Signor Deprez, la Sicilia vale molto di più della Vallonia

Dal sito de L'Altra Sicilia

L'Altra Sicilia chiede le scuse ufficiali per le dichiarazioni anti-siciliane del signor Gérard Deprez, presidente della Commissione libertà civili del Parlamento Europeo.

L’articolo apparso il 4 febbraio scorso sul quotidiano Metro, un giornale distribuito gratuitamente in migliaia di esemplari, riporta in prima pagina un richiamo negativo fatto alla Sicilia dal signor Gérard Deprez, recentemente nominato presidente della commissione libertà civili del PE.

Questo signore, parlando delle potenzialità della sua regione, la Vallonia, auspica che possa diventare come l'Irlanda ma constata che attualmente non vale più della Sicilia, esprimendo di fatto un giudizio negativo sulla Sicilia, cosa che non gli permettiamo nella maniera più assoluta.

A questo signore, L’Altra Sicilia, vuole ricordare le tradizioni millenaria cultura di uno Stato-Regione che pre-esistono alla costituzione dello stesso stato federale belga, Sicilia cioé, uno Stato-Regione che possiede innumerevoli potenzialità che soltanto l'ottusità di uno stato centrale impedisce di esprimere per evitare che possa divenire il vero centro del Mediterraneo, ruolo ricoperto sino all'annessione italica.

No signor Deprez, la Sicilia non è come lei la definisce e cosi' facendo dimostra di non esserci mai stato.

Noi non accettiamo che gente come lei possa parlare per sentito dire attraverso stereotipi negativi che lo Stato italiano ha sempre cercato di rinnovare attraverso stampa e televisioni e cinema, bloccandone in fine, così, sviluppo e progresso.

No, signor Deprez, lei ha offeso tutta una comunità generosa, operosa, integrata suo malgrado ma ancora costreetta alla carta di soggiorno per risiedere in un Paese che ha fatto progredire e che in più si dichiara capitale dei diritti dell'uomo.

Signor Deprez, Sicilia non è quella che tramanda la storia tradizionale, la storia del risorgimento italiano, la storia delle ruberie di Garibaldi e dei Savoia; Sicilia è faro di civiltà nei secoli, Sicilia è stata capitale dell'impero bizantino con Siracusa ai tempi di Costante II, poi capitale del Regno di Sicilia, sede del primo Parlamento conosciuto dalla civiltà occidentale con Federico II, Sicilia è stata la sede della scuola poetica di Federico II, antesignana del volgare e della lingua italiana oggi parlata, Sicilia possiede il 40% dei beni archeologici, non puo' certo paragonarsi neanche lontanamente alla terra di Vallonia, regione artificiale che se riuscisse ad applicare soltanto una parte dello Statuto di autonomia che appartiene alla Sicilia,e che, da sempre negato dall'ostilità ottusa e sotterranea stato centrale, potrebbe divenire, finalmente applicato, una vera e propria Nazione, finalmente sinonimo di benessere e civiltà nel mondo.

Ci dispiace soltanto che né deputati siciliani che siedono nel Parlamento europeo né la stessa Presidenza della Regione Siciliana presente a Bruxelles con uffici e funzionari, non siano intervenuti come lo facciamo noi, dimostrando l'assoluta inutilità della loro presenza.

Noi de L’Altra Sicilia le chiediamo pertanto di pubblicare le scuse ufficiali per aver insultato la Sicilia, scuse che Lei deve obbligatoriamente alla nostra comunità, e la invitiamo ad un pubblico dibattito perchè lei possa capire appieno cos'é la Sicilia ed evitare, in futuro, giudizi negativi che, tra l'altro, non hanno ragione d'essere.

Francesco Paolo Catania Presidente de L'Altra Sicilia


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sabato 16 febbraio 2008

Diventeremo Eurabia? Non è detto. Ecco perché

In tempi nei quali si impedisce al Papa di andare alla Sapienza di Roma per affermare che “la fede non va imposta in modo autoritario” e che l’approccio laico al sapere è il primo valore su cui deve fondarsi l’università (dando così una lezione di autentico liberalismo ai nostri laicisti che ancora si macerano nelle nostalgie per il Sessantotto), diventa utile prendere in mano un libro uscito alcune settimane fa.

di Graziano Girotti


Si tratta de “L’ultima chance dell’Occidente”, scritto da Tony Blankley e pubblicato da Rubbettino, casa editrice sempre in grado di scovare intellettuali che se vivessero nel nostro Paese sarebbero immediatamente emarginati fra le streghe da bruciare non appena aprissero bocca o scrivessero qualcosa. Un altro di questi intellettuali è Guglielmo Piombini, che ha tradotto il volume e ne ha curato la prefazione. Blankley, editorialista del Washington Times, oltre che popolare commentatore politico alla radio e alla televisione, in passato è stato consigliere nonché autore dei discorsi del presidente Ronald Reagan.

Nella sua ultima opera, Blankley ragiona sul possibile scenario che tra qualche decennio vedrebbe l’Europa trasformata in Eurabia. Tre le tendenze che, se non combattute adeguatamente, renderebbero inevitabile questa prospettiva: la massiccia immigrazione musulmana, il tasso di natalità negativo e l’egemonia del multiculturalismo.
I calcoli matematici confermano che se gli attuali trend demografici permangono costanti fino alla fine del secolo, la popolazione europea si ridurrà dagli attuali 700 milioni ad appena 200 milioni di abitanti e i musulmani saranno maggioranza. Nello stesso tempo la popolazione degli Stati Uniti, con un tasso di natalità attualmente vicino al fatidico numero di 2,1 figli per donna, aumenterà fino a raggiungere nel 2050 i 400 milioni di abitanti.

Di fronte a queste cifre, gli osservatori statunitensi si chiedono se una futura Europa a maggioranza musulmana farà ancora parte dell’Occidente, o se si trasformerà in un continente nemico dell’America. A ciò bisogna aggiungere la graduale e strisciante islamizzazione del Vecchio continente, che favorisce la diffusione di sentimenti anti-occidentali tra gli immigrati musulmani di seconda e terza generazione e proprio in quei paesi, come l’Olanda e la Gran Bretagna, che sono andati più avanti nell’applicazione del multiculturalismo.

Secondo un rapporto del ministero degli interni britannico del 2004, il 26 per cento dei musulmani che risiedono nel paese non provano alcun sentimento di lealtà verso l’Inghilterra, il 13 per cento sostengono il terrorismo e l’1 per cento (circa ventimila persone) sono attivamente impegnati nel terrorismo o nelle attività di appoggio. Si potrebbero fare tantissimi altri esempi.
A Londra, una corte penale ha accettato il principio della sharia secondo cui un musulmano non può essere giudicato da un non-musulmano.
In Germania sono sempre più numerose le sentenze della magistratura che, in omaggio alle differenze culturali, derogano alla legge tedesca in materia di famiglia, poligamia, separazione dei sessi, macellazione, preghiere pubbliche.

Blankley si pone l’obiettivo di capire se gli europei abbiano abbracciato in modo definitivo una mentalità materialista, relativista e postcristiana, condannandosi all’estinzione nell’Eurabia, o se invece desiderano ancora trasmettere la propria identità culturale ai propri discendenti perché non diventino stranieri nella propria terra. Secondo l’autore, gli attuali trend culturali, religiosi e demografici europei non continueranno a lungo.
Intanto gli europei stanno cambiando il modo di guardare all’immigrazione islamica, soprattutto dopo gli attentati di Londra e Madrid. La gente comune, a dispetto della propaganda politicamente corretta diffusa dalle élite culturali e politiche, si sta accorgendo che la grande maggioranza degli islamici non cerca affatto l’integrazione, ma persegue un piano a lunga scadenza di dominazione dell’Europa con mezzi diversi dal passato.

In secondo luogo, il contatto con una cultura completamente diversa e fortemente ostile come quella islamica sta facendo riscoprire in molti europei i tanti aspetti positivi e a lungo trascurati della propria fede cristiana. Benedetto XVI sta concentrando gli sforzi maggiori del suo pontificato nell’obiettivo di riaccendere la fiamma della fede cristiana in Europa.
Infine, l’inevitabile crisi fiscale degli stati assistenziali imporrà drastici cambiamenti sociali. Negli ultimi decenni il welfare state ha contribuito fortemente alla denatalità, dando a molte persone l’illusione di poter evitare i sacrifici e i costi legati all’allevamento dei figli senza subire alcuna conseguenza futura, nella certezza che lo Stato le avrebbe mantenute e assistite durante la vecchiaia.

Troppe persone hanno fatto i calcoli in questo modo e di conseguenza non sono mai nate le generazioni incaricate di pagarne il conto. Tra pochi anni infatti cominceranno a ritirarsi dal lavoro i numerosi baby-boomers venuti alla luce nel dopoguerra, proprio quando il numero dei produttori e dei contribuenti si ridurrà drasticamente per effetto del calo demografico. L’inevitabile collasso della sicurezza restituirà però un ruolo fondamentale alle associazioni caritatevoli religiose e innescherà molto probabilmente un nuovo boom delle nascite, perché durante gli austeri tempi di magra i figli torneranno a rappresentare una indispensabile protezione per la tarda età.

Insomma, minacciati dall’aggressione islamica e dalla crisi dello Stato sociale, gli europei torneranno a comportarsi come hanno sempre fatto nelle circostanze difficili, abbandonando gli stili di vita edonistici e riscoprendo la fede e la famiglia. Lo stesso ciclo della secolarizzazione avrebbe già raggiunto il suo culmine in Europa proprio in questi anni con l’arrivo dei protagonisti della contestazione nei posti chiave del potere, che si sono portati dietro egualitarismo, relativismo morale, multiculturalismo, pari opportunità, liberazione sessuale, materialismo e edonismo. Ideali che hanno eroso negli uomini occidentali la volontà di vivere una vita produttiva, di moltiplicarsi e di affermare la propria cultura.

L'Opinione, 22 gennaio 2008

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domenica 10 febbraio 2008

Garibaldi a «Studi cattolici»

Studi cattolici n.563 gennaio 2008

Per il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, Studi cattolici ha pubblicato nel n. 560 (ottobre 2007) un articolo di Francesco Mario Agnoli sulle poco gloriose gesta del generale in America Latina. Nel n. 562 (dicembre 2007) Domenico Merlino si era proposto «di comprendere in modo sereno e scientifico» la figura di Garibaldi, chiamando in causa anche la storiografia di Angela Pellicciari che qui replica. Di Angela Pellicciari le Edizioni Ares hanno pubblicato Risorgimento da riscrivere (1998) e I papi e la massoneria (2007).

di Angela Pellicciari


Le «scientifiche» argomentazioni firmate da Domenico Merlino si basano tutte (dico tutte) sulla meccanica trascrizione di brani di autori filorisorgi mentali e filogaribaldini, molto lontani dallo svolgimento dei fatti. I libri che ho scritto si sono imposti all'attenzione del pubblico (nonostante la loro radicale alterità rispetto alla vulgata storiografica dominante) perché basati su un serio sforzo di documentazione sulle fonti dell'epoca e un certosino lavoro di archivio. Da questo lavoro è originato, anche, / panni sporchi dei Mille (Liberilibri 2003). Si tratta della ristampa (da me introdotta e commentata) di alcune fonti liberali di primo piano che raccontano come e da chi è stata concepita e organizzata la spedizione dei Mille, oltre a descrivere le raccapriccianti gesta della dittatura garibaldina in Sicilia. Colgo l'occasione per ripercorrere qui le imprese di Garibaldi. Lo farò a modo mio. schematicamente, ricorrendo a documentazione di prima mano e abbondando (me ne scuserà il lettore) in citazioni.

Il bicentenario della nascita di Garibaldi (sponsorizzalo dalla Presidenza del Consiglio, dal Ministero degli Affari esteri, da quello della Difesa, dalla Provincia di Roma oltre che da un'infinità di «comitati cittadini, provinciali e regionali») si è ripromesso di «promuovere la crescita della morale individuale», partendo dall'assunto che «l'epopea garibaldina può legittimamente configurare un contributo determinante alla unità d'Europa, e alla libertà, nell'eguaglianza dei popoli». Il Sole 24 ore, giornale della Confindustria, si e associato al coro unanime delle lodi giungendo a prezzo di quali contorsioni viscerali giudichi il lettore visto il peana che gli industriali innalzano sempre alla libera competizione sul libero mercato - ad affermare che «parlar male di Garibaldi è perciò difficile se non impossibile, e mai e poi mai potrebbe accadere quest'anno, bicentenario della nascita dell'eroe» (Luigi Mascilli Migliorini, 17 giugno 2007). I motivi per cui di Garibaldi non si potrebbe parlar male sono essenzialmente tre: è l'eroe dei «due mondi» perché combatte battaglie per liberare i popoli nei due emisferi; organizza e guida la spedizione dei Mille che conquista il più grande regno italiano con un pugno di scamiciati; raggiunta l'unità, novello Cincinnato, si ritira in solitudine e umiltà a Caprera. Analizziamo i tre punti nel dettaglio.

L'«eroe dei due mondi»

Punto primo: il libertador, nel secondo mondo, si guadagna da vivere commerciando in schiavi. Tornato in America dopo la parentesi rovinosa della Repubblica Romana, è arruolalo come capitano della Carmen dall'armatore ligure Pietro Denegri. Garibaldi che, come Cesare, è convinto dell'eccezionalità delle proprie gesta, pubblica Memorie dettagliate in cui descrive con precisione anche i traffici come capitano della Carmen. Sappiamo così che il 10 gennaio 1852 parte dal porto del Callao, in Perù, alla volta della Cina. La nave trasporta guano (un tipo di concime molto pregiato). Dei viaggio Callao-Canton-Lima sappiamo praticamente tutto: giorni di traversata, carichi trasportati. traversie. Manca solo un particolare; non viene specificato con che tipo di merce Garibaldi, dopo aver venduto a condizioni vantaggiose il guano, faccia ritorno in Perù. A questa dimenticanza provvede fortunatamente l'armatore Denegri che, volendo lodare il capitano della Carmen. racconta all'amico di famiglia nonché biografo del generale Augusto Vecchi, il dettaglio mancante: Garibaldi «m'ha sempre portati i cinesi nel numero imbarcato e tutti grassi e in buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie». Il libro di Augusto Vecchi La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi (Zanichelli 1882, ristampato nel 1910) subisce una sorte infausta: scompare da praticamente tutte le biblioteche d'Italia. Eppure si tratta di un testo di grande interesse. Vecchi è autore noto nella seconda metà dell'Ottocento, la prefazione di Giosuè Carducci garantisce della qualità dell'opera. Sono riuscita ad acquistare il volume dopo molte ricerche presso una biblioteca antiquaria di Trieste. A buon intenditor poche parole.

La spedizione dei Mille

Punto secondo: l'impresa dei Mille. «Ella vedrà che il concetto fu mio; che Garibaldi esitava (e ne ho documenti): e che da ultimo si decise a partire, quando vide che i siciliani sarebbero partiti senza di lui. Le armi e le munizioni furono somministrate a Garibaldi da me: egli non aveva nulla»: e scrivere così il 14 ottobre 1860 in una lettera a Pietro Sbarbaro, è lo storico siciliano, massone, segretario della Società Nazionale, Giuseppe La Farina. L'impresa dei Mille è progettala a tavolino per quattro anni da Camillo Benso conte di Cavour e Giuseppe La Farina. La capillare organizzazione della campagna d'Italia inizia subito dopo il Congresso di Parigi (1856): lì la questione italiana è messa all'ordine del giorno dell'agenda iniernazionale. Gli abitanti dell'Italia centrale e meridionale, così affermano Clarendon e Cavour. «gemono» sotto il malgoverno pontificio e borbonico. Ottenuta la copertura internazionale, il Regno di Sardegna si prepara, in gran segreto, a «liberarli».

Nel 1862 così scrive La Farina sull’Espero: «Per quattro anni vidi quasi tutte le mattine il conte di Cavour, senza che alcuno dei suoi amici intimi lo sapesse, andando sempre due o tre ore prima di giorno, e sortendo spesso da una scala segreta, ch'era contigua alla sua camera da letto, quando in anticamera era qualcuno che lo potesse conoscere! E in uno di questi notturni abboccamenti, nel 1858, fu presentato al conte di Cavour il generale Garibaldi, venuto clandestinamente da Caprera». Cavour, racconta La Farina, gli aveva detto: «Venga da me quando vuole, ma pria di giorno, e che nessuno lo veda e che nessuno lo sappia. Se sarò interrogato in Parlamento o dalla diplomazia (soggiunse sorridendo) lo rinnegherò come Pietro e dirò; non lo conosco». Lo sbarco in Sicilia riesce anche perché Cavour manda l'ammiraglio Persano a corrompere l'ufficialità borbonica. Scrive Persano nel Diario politico militare: «La casa De La Rue di Genova [banchieri amici di Cavour] aprirà in Napoli, presso il banchiere De Gas, un eredito illimitato a mia disposizione». Grazie a questo «credito illimitato» Persano può comunicare a Cavour il felice esito di una corruzione condona a livello capillare: «L'ufficialità l'abbiamo quasi tutta, pochissime essendo le eccezioni [...]. Noi continuiamo, con la massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, a tergo delle truppe napoletane». Tutto va a gonfie vele, assicura Persano. Solo un neo turba la mirabile organizzazione dell'invasione dell'Italia meridionale: «Osservo che converrebbe tener gli occhi aperti sulle spedizioni degli individui che da noi si fanno per qui, e di veder modo di ritenere molta gentaglia che muove per queste contrade a nessun altro scopo, se non per quello di pescar nel torbido». Che i Mille non fossero idealisti disinteressati lo conferma lo stesso Garibaldi che così li descrive: «Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto».

A cose fatte, a invasione avvenuta, La Farina indirizza a Cavour dispacci quotidiani e cosi descrive l'ordine che regna in Sicilia sotto la dittatura garibaldina: «lo non debbo a lei celare che nell'interno dell'isola gli ammazzamenti seguono in proporzioni spaventose [..,] l'altro giorno si discuteva sul serio di ardere la biblioteca pubblica, perché cosa dei gesuiti; si assoldano a Palermo più di 2000 bambini dagli 8 ai 15 anni e si da loro 3 tari al giorno […]. Si da commissione di organizzare un battaglione a chiunque ne fa domanda; così che esistono gran numero di battaglioni, che hanno banda musicale e officiali al completo e quaranta o cinquanta soldati! [...]. Si manda al tesoro pubblico a prendere migliaia di ducati, senza ne anco indicare la destinazione! Si lascia tutta la Sicilia senza tribunali né civili, né penali, né commerciali, essendo stata congedata in massa tutta la magistratura! Si creano commissioni militari per giudicare di tutto e di tutti, come al tempo degli Unni». Il 19 luglio 1860 il segretario della Società Nazionale cosi scrive a Giuseppe Clementi: «I bricconi più svergognati, gli usciti di galera per furti e ammazzamenti, compensati con impieghi e con gradi militari. La sventurata Sicilia è caduta in mano di una banda di Vandali». Conferma indiretta della barbarie che regna in Sicilia all'epoca della spedizione è offerta dalla letteratura siciliana. La grande letteratura italiana meridionale. Pirandello - discendente da una famiglia di rivoluzionari liberali - descrive nella novella L'altro figlio (poi trasporta sul grande schermo dai fratelli Taviani nel film Caos) le drammatiche conseguenze della liberazione dei detenuti comuni.

Nella dorata Caprera

Punto terzo: Garibaldi Cincinnato. A unità d'Italia realizzata Garibaldi non serve più. Il governo italiano, che gli è grato, nel 1874 propone di remunerare il generale «col dono d'un milione, e con la giunta d'una rendita vitalizia di 50.000 lire». Garibaldi rifiuta e cosi scrive al ministro Mancini il 10 dicembre 1874: «Avrei accettato il dono nazionale, qualunque sia, se non vi fosse di mezzo un Governo, che io tengo colpevole delle miserie del Paese, e con cui non voglio essere complice». Le 50.000 lire diventano 100.000, ma Garibaldi insiste nel rifiuto e così scrive al figlio Menotti il 31 dicembre 1874: «Le cento mila lire pesandomi sulle spalle come la Camicia di Nesso, ho incaricato Riboli di pubblicare la mia ultima lettera di non accettazione. Differendo io, ne avrei perduto il sonno, avrei sentito il freddo delle manette, le mani calde di sangue». Sta di fatto, commenta la Civiltà Cattolica che descrive l'episodio in Cronaca Contemporanea, che «Passarono men che sei mesi, e tutte queste belle cose andarono in fumo. L'eroe accettò e indossò la Camicia di Nesso», A quanto corrispondono 100.000 lire? Basti ricordare l'allegro motivetto di epoca fascista «se potessi avere mille lire al mese», tenendo conto che, dopo la prima guerra mondiale, una fortissima svalutazione riduce a nulla il potere di acquisto della lira. Scrive Francesco Merlo in chiusura di un lungo articolo comparso su Repubblica il 22 giugno: «Non si sta celebrando Garibaldi. Si sta riempiendo un vuoto». È vero: tanto rumore per dimenticare il dramma vissuto dall'Italia durante la sua supposta liberazione morale, politica ed economica. Tanto rumore per occultare un fatto: l'Italia, dopo due millenni da faro di civiltà, col Risorgimento si trasforma in un Paese di emigranti. Per chi ha a cuore la verità e, con essa, le sorti della nazione, converrebbe tener conto della realtà storica: l'Italia cattolica è sempre stata un Paese unico. Il Bel Paese per antonomasia. L'Italia anticattolica che i liberali hanno voluto edificare, viceversa, è divenuta l'Italietta, un Paese da nulla. L'8 dicembre 1892 così ammonisce Leone XIII nella lettera Custodi: «Ispiratrice e gelosa custode delle italiche grandezze fu sempre l'Apostolica Sede. Siate dunque italiani e cattolici, liberi e non settari, fedeli alla patria e insieme a Cristo e al Vicario suo, persuasi che un'Italia anticristiana e antipapale sarebbe opposta all'ordinamento divino, e quindi condannata a perire». A più di un secolo di distanza il cardinal Caffarra, rivolgendosi ai bolognesi, sembra riprendere gli stessi concetti: «Sradicarsi dalla nostra tradizione progettando una sorta di "patto di convivenza" da sottoscrivere dimenticando o mettendo fra parentesi tutto ciò che definisce la nostra vita e la nostra persona così come la vita e la storia della nostra città, significa metterci su una strada che porta alla totale disgregazione». La speranza - prosegue il cardinale - è diventata fragile: «La speranza nel cuore de! singolo e nel cuore di un popolo si riduce e perfino si inaridisce, se il singolo e la città ha la sensazione come di dover ripartire dai nulla. Nel nulla si può solo cadere; ma dal nulla non si ha alcun appoggio per risalire». Se smettessimo di coprire il vuoto e riconoscessimo lo straordinario ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nella storia d'Italia? E ammettessimo che i liberali, durante il Risorgimento, sono caduti in un errore drammatico'? E ci riappropriassimo con giusto orgoglio del millennio e mezzo di Italia cattolica?

Leggi anche:

Parlar male& bene di Garibaldi di Domenico Morlino, Studi Cattolici n.562 dicembre 2007

Garibaldi a servizio di sua maestà di Francesco Maria Agnoli, Studi Cattolici n.560 ottobre 2007

Giuseppe Garibaldi? Era l'eroe dei tre mondi di Diego Gabutti, Il Giornale di mercoledì 17 ottobre 2001


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Intellighenzia laica?

Dal blog Piergiobbe, "Ma sono andati in tilt?", 4 febbraio 2008


Dopo l'autogol dei 67 censori della Sapienza, l'intellighenzia di sinistra compie un altro clamoroso passo falso sostenendo con alcune delle sue punte di diamante, quali l'ormai mitologico prof. Vattimo, il boicottaggio della Fiera del libro di Torino. Il motivo? Il paese ospite d'onore sarà Israele, proprio nel 60° anniversario della sua fondazione.

Parte immediata la prima ossessione, frequente tra i sinistri, quella della par condicio: se c'è Israele ospite d'onore, allora, come minimo, deve essere onorata anche la Palestina. Perché? ci si sforza invano di capirlo, ci si chiede invano perché tali e tante intelligenze non propongano il boicottaggio delle Olimpiadi, ci si domanda, sempre invano, cosa c'entri una manifestazione libraria italiana con il conflitto arabo-israeliano. Ma è tutto inutile, il corto circuito dei falsi democratici sembra irreversibile e non c'è verso di farli ragionare...

C'è solo un aspetto positivo: quest'anno andare a visitare quel baraccone infernale della Fiera di Torino avrà finalmente un senso.

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Il nuovo puritanesimo

La sala operatoria invece della camera da letto. Quarant’anni dopo “la rivoluzione sessuale”, l’incontro tra i due sessi è minacciato da nuove e potenti forze. Allora chi si richiamava al progresso, e alle nuove scienze, si sforzava di liberare l’incontro tra uomo e donna dai numerosi vincoli che lo frenavano e regolavano. Oggi tecnoscienziati di grido, e governanti politicamente corretti lavorano per rendere inutile, e neppure nominabile, l’incontro tra il maschio e la femmina dell’uomo.

di Claudio Risé

In questo neopuritanesimo la Chiesa è dall’altra parte. Benedetto XVI fin dalla sua prima enciclica, la “Deus caritas est” ha esaltato l’atto d’amore tra uomo e donna come un gesto di forte contenuto religioso, e la radio vaticana è in prima fila nella preoccupazione per la nuova sessuofobia tecnoscientifica.

Quarant’anni fa, la ricerca del piacere nella relazione era accompagnata dalla psicoanalisi: la forza del “godimento” lacaniano, del “desiderio” del filosofo Gilles Déleuze, della “totalità” che Jung vede rappresentata, appunto, dall’unione tra maschile e femminile. Oggi, in prima fila nel sogno di una riproduzione asessuata ci sono invece i tecnici della genetica, che propongono la sostituzione degli scenari ospedalieri dei prelievi e delle sale operatorie a quelli carichi di affettività delle camere da letto. Un tecnico in camice, con contorno di macchine, invece di un maschio, nudo.

Sarà davvero un affare per le donne? C’è da dubitarne. Di sicuro costerà di più, anche se pure molti uomini (e donne), comportavano prezzi da pagare. L’amore non si è sempre rivelato gratuito, ma almeno si poteva pensare che lo fosse, e comunque i variegati luoghi dell’intimità erano probabilmente più interessanti, ed emozionanti, di quelli precostituiti dalla burocrazia ospedaliera.

Nei nuovi scenari che si annunciano però (e l’insistenza fa pensare che non siano solo provocazioni mediatiche), un fenomeno appare con chiarezza: la cacciata dell’uomo dal ciclo riproduttivo. Era già stata annunciata dalle legislazioni abortiste, che gli toglievano quasi sempre (con particolare durezza in Italia), ogni diritto di parola sulla decisione della compagna di abortire il bimbo concepito con il suo seme. Con alcune conseguenze: l’esperienza psicoterapeutica dimostra che la disponibilità, ma anche la capacità, dell’uomo a generare, è direttamente legata alla sua sicurezza che il figlio faccia parte di un progetto condiviso dalla donna, e che la vita del piccolo non venga messa a rischio da ripensamenti successivi.

Certo, ci sono anche sempre stati, e ancora ci saranno, maschi irresponsabili, superficiali, o nevrotici, incapaci di assumersi la responsabilità riproduttiva. Nella sua maturità e integrità psichica e affettiva però, l’uomo si sente profondamente coinvolto nella riproduzione, e vive il suo fallimento (aborto compreso, perfino quando lui è consenziente), come una profonda ferita, ed un fallimento personale.

Come potrà vivere, l’uomo maschio, la sua eventuale espulsione dal processo riproduttivo? E come vive, già oggi, questi primi annunci del suo possibile destino di emarginazione? Sicuramente con tristezza, e rabbia. Se non servi a far continuare la vita, a livello profondo ti percepisci come inutile. Soprattutto se il tuo corpo, e la tua psiche, sono stati invece programmati per quello.
Nessuno protesti più, o si stupisca, per le depressioni dei maschi, o i loro incomprensibili scoppi di violenza. Sono i primi effetti dei tecnoscienziati onnipotenti, o dei politici che cancellano con un tratto di penna il non più nominabile nome del padre.

Il Mattino di Napoli, 4 febbraio 2008

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sabato 9 febbraio 2008

La Chiesa inglese apre alla Sharia ma è subito polemica

di Dimitri Buffa


L'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ritiene che sia ormai “inevitabile” introdurre nel sistema giuridico britannico alcuni aspetti della Sharia, la legge islamica. Non ha precisato esattamente quali ma ha fatto allusioni al matrimonio, al divorzio e al diritto di famiglia.

Il suo giudizio peserà ora come un macigno in un dibattito più che all’ordine del giorno in Gran Bretagna, dove i musulmani sono circa due milioni.

Ma anche nel resto d’Europa dove da anni ferve la polemica sulla tolleranza religiosa e sul dialogo tra le diverse fedi monoteistiche.

La massima autorità spirituale della Chiesa Anglicana, di cui è notoriamente a capo la stessa regina Elisabetta II, ha sottolineato che le leggi britanniche hanno già da tempo recepito istanze di altre confessioni ed è quindi opportuno “un adeguamento costruttivo” della sharia in materie come il diritto di famiglia e come la cosiddetta finanza islamica.

“Alcuni aspetti della Sharia sono riconosciuti nella nostra società e nelle nostre leggi – ha dichiarato Williams alla Bbc - quindi non stiamo parlando di una cosa aliena né di un sistema antagonista”.

L’arcivescovo ha comunque ribadito che “nessuna persona assennata può pensare che in Gran Bretagna si possa permettere quel genere di disumanità, spesso associato con l'applicazione della legge islamica in alcuni paesi musulmani, come la pena capitale e l'atteggiamento discriminatorio verso le donne”.

In sostanza per Williams, “recepire la Sharia non deve significare in alcun modo prevaricare i diritti garantiti a tutti i cittadini”.

Inutile dire che nell'opinione pubblica britannica questo tema tocca un nervo scoperto, soprattutto dopo gli attentati suicidi del 7 luglio 2005 a Londra.

Nei giorni scorsi il vescovo anglicano di Rochester, Michael Nazir-Ali, di origine araba, denunciò alla polizia di avere ricevuto minacce di morte per un articolo a sua firma, in cui affermava che gli integralisti islamici hanno trasformato alcune aree del paese in zone interdette ai non musulmani.
Il termine inglese usato era stato questo: “no go areas”.

Naturalmente l’esternazione dell’ “arcibishop” al famoso programma “BBC’s world” non ha lasciato silenti altri leader religiosi e poltici. E lo scetticismo è la cifra che sembra prevalere nei loro commenti.

Con l’unica eccezione di Mohammed Shafiq, un arabo di religione islamica considerato tra i più noti pensatori della Fondazione (definita sul “Telegraph” come “un think tank”) di Tariq Ramadan. Il quale ha dichiarato ai giornalisti che “le posizioni dell’arcivescovo di Canterbury dimostrano che la shar’ia è un tipo di giurisdizione che nelle materie regolate dal diritto civile funziona benissimo, e questo è stato già visto all’interno di molti paesi occidentali”.

Di segno del tutto opposto invece il pensiero e le parole di Stephen Green, direttore nazionale di Christian Voice, un network che conta molte radio e anche un quotidiano e un sito internet in Inghilterra: “Questo è un paese cristiano che ha leggi cristiane, se i musulmani desiderano vivere sotto la giurisdizione shar’iatica non hanno da fare che emigrare in tutti quei paesi dove la shar’ia è tuttora legge vigente”.

E poi ha precisato: “Qualunque accomodamento con la shar’ia è fuori dalla realtà, e non aiuta affato la coesione sociale. Nel tempo la legge cristiana è stata erosa dal secolarismo, ma questo paese resta fondato su valori cristiani”.

Neanche Gordon Brown, almeno a quento riferiscono le indiscrezioni dei giornali inglesi come il “Daily telegraph” e “The times”, avrebbe preso tanto bene l’estemporanea uscita del suo “arcibishop”.

Ai media il suo portavoce ha detto seccamente che “benché alcune concessioni nella legislazione britannica siano state fatte per le esigenze dei mussulmani (recentemente la “social security” ha dato parere favorevole al pagamento degli assegni familiari per tutte e quattro le mogli dei poligami britannici di fede islamica, ndr) la sharia non può diventare una giustificazione per agire contro le leggi dello stato britannico”.

Anche in Inghilterra non mancano infatti episodi tragici di cronaca nera, paragonabili a quello accaduto in Italia a Berscia (dove si sta celebrando il relativo processo) con la povera Hina Salem, massacrata dal padre perché non si atteneva ai costumi patriarcali islamici.

E anche in Inghilterra esistono musulmani moderati che vorrebbero integrarsi perfettamente con le leggi vigenti nel regno di Her Majesty.

Persone che considerano l’ideologia di Tariq Ramadan, in qualche maniera avallata dall’arcivescovo di Canterbury, come qualcosa di pericoloso e da combattere.

Cauto anche il commento, raccolto dal “Times”, del rabbino Danny Rich, capo esecutivo del giudaismo liberale inglese: “sono rimasto sorpreso delle parole dell’Arcivescovo, qui la comunità ebraica ha imparato il valore dell’integrazione con lo stato anche se, laddove la legge lo permette, apprezza di potere regolare alcune materie secondo le leggi delle autorità rabbiniche, da noi comunque la legge dello stato inglese prevale sempre su quella religiosa”.


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