L'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ritiene che sia ormai “inevitabile” introdurre nel sistema giuridico britannico alcuni aspetti della Sharia, la legge islamica. Non ha precisato esattamente quali ma ha fatto allusioni al matrimonio, al divorzio e al diritto di famiglia.
Il suo giudizio peserà ora come un macigno in un dibattito più che all’ordine del giorno in Gran Bretagna, dove i musulmani sono circa due milioni.
Ma anche nel resto d’Europa dove da anni ferve la polemica sulla tolleranza religiosa e sul dialogo tra le diverse fedi monoteistiche.
La massima autorità spirituale della Chiesa Anglicana, di cui è notoriamente a capo la stessa regina Elisabetta II, ha sottolineato che le leggi britanniche hanno già da tempo recepito istanze di altre confessioni ed è quindi opportuno “un adeguamento costruttivo” della sharia in materie come il diritto di famiglia e come la cosiddetta finanza islamica.
“Alcuni aspetti della Sharia sono riconosciuti nella nostra società e nelle nostre leggi – ha dichiarato Williams alla Bbc - quindi non stiamo parlando di una cosa aliena né di un sistema antagonista”.
L’arcivescovo ha comunque ribadito che “nessuna persona assennata può pensare che in Gran Bretagna si possa permettere quel genere di disumanità, spesso associato con l'applicazione della legge islamica in alcuni paesi musulmani, come la pena capitale e l'atteggiamento discriminatorio verso le donne”.
In sostanza per Williams, “recepire la Sharia non deve significare in alcun modo prevaricare i diritti garantiti a tutti i cittadini”.
Inutile dire che nell'opinione pubblica britannica questo tema tocca un nervo scoperto, soprattutto dopo gli attentati suicidi del 7 luglio 2005 a Londra.
Nei giorni scorsi il vescovo anglicano di Rochester, Michael Nazir-Ali, di origine araba, denunciò alla polizia di avere ricevuto minacce di morte per un articolo a sua firma, in cui affermava che gli integralisti islamici hanno trasformato alcune aree del paese in zone interdette ai non musulmani.
Il termine inglese usato era stato questo: “no go areas”.
Naturalmente l’esternazione dell’ “arcibishop” al famoso programma “BBC’s world” non ha lasciato silenti altri leader religiosi e poltici. E lo scetticismo è la cifra che sembra prevalere nei loro commenti.
Con l’unica eccezione di Mohammed Shafiq, un arabo di religione islamica considerato tra i più noti pensatori della Fondazione (definita sul “Telegraph” come “un think tank”) di Tariq Ramadan. Il quale ha dichiarato ai giornalisti che “le posizioni dell’arcivescovo di Canterbury dimostrano che la shar’ia è un tipo di giurisdizione che nelle materie regolate dal diritto civile funziona benissimo, e questo è stato già visto all’interno di molti paesi occidentali”.
Di segno del tutto opposto invece il pensiero e le parole di Stephen Green, direttore nazionale di Christian Voice, un network che conta molte radio e anche un quotidiano e un sito internet in Inghilterra: “Questo è un paese cristiano che ha leggi cristiane, se i musulmani desiderano vivere sotto la giurisdizione shar’iatica non hanno da fare che emigrare in tutti quei paesi dove la shar’ia è tuttora legge vigente”.
E poi ha precisato: “Qualunque accomodamento con la shar’ia è fuori dalla realtà, e non aiuta affato la coesione sociale. Nel tempo la legge cristiana è stata erosa dal secolarismo, ma questo paese resta fondato su valori cristiani”.
Neanche Gordon Brown, almeno a quento riferiscono le indiscrezioni dei giornali inglesi come il “Daily telegraph” e “The times”, avrebbe preso tanto bene l’estemporanea uscita del suo “arcibishop”.
Ai media il suo portavoce ha detto seccamente che “benché alcune concessioni nella legislazione britannica siano state fatte per le esigenze dei mussulmani (recentemente la “social security” ha dato parere favorevole al pagamento degli assegni familiari per tutte e quattro le mogli dei poligami britannici di fede islamica, ndr) la sharia non può diventare una giustificazione per agire contro le leggi dello stato britannico”.
Anche in Inghilterra non mancano infatti episodi tragici di cronaca nera, paragonabili a quello accaduto in Italia a Berscia (dove si sta celebrando il relativo processo) con la povera Hina Salem, massacrata dal padre perché non si atteneva ai costumi patriarcali islamici.
E anche in Inghilterra esistono musulmani moderati che vorrebbero integrarsi perfettamente con le leggi vigenti nel regno di Her Majesty.
Persone che considerano l’ideologia di Tariq Ramadan, in qualche maniera avallata dall’arcivescovo di Canterbury, come qualcosa di pericoloso e da combattere.
Cauto anche il commento, raccolto dal “Times”, del rabbino Danny Rich, capo esecutivo del giudaismo liberale inglese: “sono rimasto sorpreso delle parole dell’Arcivescovo, qui la comunità ebraica ha imparato il valore dell’integrazione con lo stato anche se, laddove la legge lo permette, apprezza di potere regolare alcune materie secondo le leggi delle autorità rabbiniche, da noi comunque la legge dello stato inglese prevale sempre su quella religiosa”.
Ma anche nel resto d’Europa dove da anni ferve la polemica sulla tolleranza religiosa e sul dialogo tra le diverse fedi monoteistiche.
La massima autorità spirituale della Chiesa Anglicana, di cui è notoriamente a capo la stessa regina Elisabetta II, ha sottolineato che le leggi britanniche hanno già da tempo recepito istanze di altre confessioni ed è quindi opportuno “un adeguamento costruttivo” della sharia in materie come il diritto di famiglia e come la cosiddetta finanza islamica.
“Alcuni aspetti della Sharia sono riconosciuti nella nostra società e nelle nostre leggi – ha dichiarato Williams alla Bbc - quindi non stiamo parlando di una cosa aliena né di un sistema antagonista”.
L’arcivescovo ha comunque ribadito che “nessuna persona assennata può pensare che in Gran Bretagna si possa permettere quel genere di disumanità, spesso associato con l'applicazione della legge islamica in alcuni paesi musulmani, come la pena capitale e l'atteggiamento discriminatorio verso le donne”.
In sostanza per Williams, “recepire la Sharia non deve significare in alcun modo prevaricare i diritti garantiti a tutti i cittadini”.
Inutile dire che nell'opinione pubblica britannica questo tema tocca un nervo scoperto, soprattutto dopo gli attentati suicidi del 7 luglio 2005 a Londra.
Nei giorni scorsi il vescovo anglicano di Rochester, Michael Nazir-Ali, di origine araba, denunciò alla polizia di avere ricevuto minacce di morte per un articolo a sua firma, in cui affermava che gli integralisti islamici hanno trasformato alcune aree del paese in zone interdette ai non musulmani.
Il termine inglese usato era stato questo: “no go areas”.
Naturalmente l’esternazione dell’ “arcibishop” al famoso programma “BBC’s world” non ha lasciato silenti altri leader religiosi e poltici. E lo scetticismo è la cifra che sembra prevalere nei loro commenti.
Con l’unica eccezione di Mohammed Shafiq, un arabo di religione islamica considerato tra i più noti pensatori della Fondazione (definita sul “Telegraph” come “un think tank”) di Tariq Ramadan. Il quale ha dichiarato ai giornalisti che “le posizioni dell’arcivescovo di Canterbury dimostrano che la shar’ia è un tipo di giurisdizione che nelle materie regolate dal diritto civile funziona benissimo, e questo è stato già visto all’interno di molti paesi occidentali”.
Di segno del tutto opposto invece il pensiero e le parole di Stephen Green, direttore nazionale di Christian Voice, un network che conta molte radio e anche un quotidiano e un sito internet in Inghilterra: “Questo è un paese cristiano che ha leggi cristiane, se i musulmani desiderano vivere sotto la giurisdizione shar’iatica non hanno da fare che emigrare in tutti quei paesi dove la shar’ia è tuttora legge vigente”.
E poi ha precisato: “Qualunque accomodamento con la shar’ia è fuori dalla realtà, e non aiuta affato la coesione sociale. Nel tempo la legge cristiana è stata erosa dal secolarismo, ma questo paese resta fondato su valori cristiani”.
Neanche Gordon Brown, almeno a quento riferiscono le indiscrezioni dei giornali inglesi come il “Daily telegraph” e “The times”, avrebbe preso tanto bene l’estemporanea uscita del suo “arcibishop”.
Ai media il suo portavoce ha detto seccamente che “benché alcune concessioni nella legislazione britannica siano state fatte per le esigenze dei mussulmani (recentemente la “social security” ha dato parere favorevole al pagamento degli assegni familiari per tutte e quattro le mogli dei poligami britannici di fede islamica, ndr) la sharia non può diventare una giustificazione per agire contro le leggi dello stato britannico”.
Anche in Inghilterra non mancano infatti episodi tragici di cronaca nera, paragonabili a quello accaduto in Italia a Berscia (dove si sta celebrando il relativo processo) con la povera Hina Salem, massacrata dal padre perché non si atteneva ai costumi patriarcali islamici.
E anche in Inghilterra esistono musulmani moderati che vorrebbero integrarsi perfettamente con le leggi vigenti nel regno di Her Majesty.
Persone che considerano l’ideologia di Tariq Ramadan, in qualche maniera avallata dall’arcivescovo di Canterbury, come qualcosa di pericoloso e da combattere.
Cauto anche il commento, raccolto dal “Times”, del rabbino Danny Rich, capo esecutivo del giudaismo liberale inglese: “sono rimasto sorpreso delle parole dell’Arcivescovo, qui la comunità ebraica ha imparato il valore dell’integrazione con lo stato anche se, laddove la legge lo permette, apprezza di potere regolare alcune materie secondo le leggi delle autorità rabbiniche, da noi comunque la legge dello stato inglese prevale sempre su quella religiosa”.
Nessun commento:
Posta un commento