domenica 10 febbraio 2008

Il nuovo puritanesimo

La sala operatoria invece della camera da letto. Quarant’anni dopo “la rivoluzione sessuale”, l’incontro tra i due sessi è minacciato da nuove e potenti forze. Allora chi si richiamava al progresso, e alle nuove scienze, si sforzava di liberare l’incontro tra uomo e donna dai numerosi vincoli che lo frenavano e regolavano. Oggi tecnoscienziati di grido, e governanti politicamente corretti lavorano per rendere inutile, e neppure nominabile, l’incontro tra il maschio e la femmina dell’uomo.

di Claudio Risé

In questo neopuritanesimo la Chiesa è dall’altra parte. Benedetto XVI fin dalla sua prima enciclica, la “Deus caritas est” ha esaltato l’atto d’amore tra uomo e donna come un gesto di forte contenuto religioso, e la radio vaticana è in prima fila nella preoccupazione per la nuova sessuofobia tecnoscientifica.

Quarant’anni fa, la ricerca del piacere nella relazione era accompagnata dalla psicoanalisi: la forza del “godimento” lacaniano, del “desiderio” del filosofo Gilles Déleuze, della “totalità” che Jung vede rappresentata, appunto, dall’unione tra maschile e femminile. Oggi, in prima fila nel sogno di una riproduzione asessuata ci sono invece i tecnici della genetica, che propongono la sostituzione degli scenari ospedalieri dei prelievi e delle sale operatorie a quelli carichi di affettività delle camere da letto. Un tecnico in camice, con contorno di macchine, invece di un maschio, nudo.

Sarà davvero un affare per le donne? C’è da dubitarne. Di sicuro costerà di più, anche se pure molti uomini (e donne), comportavano prezzi da pagare. L’amore non si è sempre rivelato gratuito, ma almeno si poteva pensare che lo fosse, e comunque i variegati luoghi dell’intimità erano probabilmente più interessanti, ed emozionanti, di quelli precostituiti dalla burocrazia ospedaliera.

Nei nuovi scenari che si annunciano però (e l’insistenza fa pensare che non siano solo provocazioni mediatiche), un fenomeno appare con chiarezza: la cacciata dell’uomo dal ciclo riproduttivo. Era già stata annunciata dalle legislazioni abortiste, che gli toglievano quasi sempre (con particolare durezza in Italia), ogni diritto di parola sulla decisione della compagna di abortire il bimbo concepito con il suo seme. Con alcune conseguenze: l’esperienza psicoterapeutica dimostra che la disponibilità, ma anche la capacità, dell’uomo a generare, è direttamente legata alla sua sicurezza che il figlio faccia parte di un progetto condiviso dalla donna, e che la vita del piccolo non venga messa a rischio da ripensamenti successivi.

Certo, ci sono anche sempre stati, e ancora ci saranno, maschi irresponsabili, superficiali, o nevrotici, incapaci di assumersi la responsabilità riproduttiva. Nella sua maturità e integrità psichica e affettiva però, l’uomo si sente profondamente coinvolto nella riproduzione, e vive il suo fallimento (aborto compreso, perfino quando lui è consenziente), come una profonda ferita, ed un fallimento personale.

Come potrà vivere, l’uomo maschio, la sua eventuale espulsione dal processo riproduttivo? E come vive, già oggi, questi primi annunci del suo possibile destino di emarginazione? Sicuramente con tristezza, e rabbia. Se non servi a far continuare la vita, a livello profondo ti percepisci come inutile. Soprattutto se il tuo corpo, e la tua psiche, sono stati invece programmati per quello.
Nessuno protesti più, o si stupisca, per le depressioni dei maschi, o i loro incomprensibili scoppi di violenza. Sono i primi effetti dei tecnoscienziati onnipotenti, o dei politici che cancellano con un tratto di penna il non più nominabile nome del padre.

Il Mattino di Napoli, 4 febbraio 2008

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