Scritto da: Mons. Luigi Negri* il 28-2-2008
Benedetto XVI ha affermato a Verona che in Italia la fede e la cultura del popolo sono state sempre profondamente intrecciate; infatti, la fede cattolica ha generato un tipo di cultura e di socialità con riferimenti fondamentali che hanno resistito per secoli: la centralità della persona, la sacralità della famiglia, la sacralità della generazione, la libertà di coscienza, la libertà di cultura e di educazione.
Per questa sostanziale cultura popolare i cristiani hanno “resistito” in profondità alle varie degenerazioni di tipo totalitarie, all’est come all’ovest. I comunisti che sono stati gli avversari storici dei cattolici hanno certamente ingaggiato, con i cattolici, un confronto duro, una lotta, ma indubbiamente, come ha ricordato recentemente il Card. Bagnasco, alcuni valori delle due “chiese”, per dirla come Gramsci, erano singolarmente prossimi anche nella varietà delle motivazioni e delle giustificazioni.
I radicali no, sono un’altra cosa; non sono una cultura di popolo, sono un movimento borghese, aristocratico culturalmente, economicamente ben dotato, che hanno ingaggiato una lotta ad oltranza per la fine del cattolicesimo, quindi per la fine della cultura popolare in Italia, iniziando e portando a termine quella che il buon Pasolini chiamava una “omologazione del popolo italiano in senso laicista”. Le battaglie che portano il loro nome, come la legge sul divorzio, hanno sottoposto anche dal punto di vista laico la sacralità o la definitività di un rapporto agli istinti, agli umori, alle convenienze, agli interessi e hanno distrutto quella realtà della famiglia che costituisce, oltre che l’ambito generativo, l’ambito di educazione dei bimbi, dei ragazzi, dei giovani. La situazione gravissima in cui versa la maggior parte della gioventù del nostro paese è la consistente prova del disastro della legge sul divorzio.
La legge sull’aborto, oltre ad impedire la nascita di quattro milioni di italiani, ha sostanzialmente fatto diventare la vita un problema tecnico, aprendolo alle più diverse manipolazioni, sottolineando in maniere esclusiva il diritto della donna contro qualsiasi altro diritto, ovviamente quelli di Dio, ma anche quelli della famiglia e della società.
Le battaglie per la liceità della manipolazione della vita, per l’eutanasia e quant’altro cercano di portare a termine questa disintegrazione della cultura cattolica del popolo italiano.
La libertà delle droghe ha teso ad identificare nell’immaginario comune moralità e immoralità.
Per questa grande opera i radicali hanno avuto a disposizione l’enorme strumentazione massmediatica che è servita da cassa di risonanza per questa mentalità che si dice evoluta, ma che sostanzialmente è materialista ed edonista. La sinistra comunista si è accodata quasi sempre a queste battaglie che non nascevano dalla sua identità profonda, ma che assumeva per ragioni di convenienza politica. Le battaglie radicali sono state anche le battaglie dei comunisti, perché i comunisti hanno capito che soltanto così sarebbero arrivati al potere e avrebbero potuto gestire il potere.
Aveva ragione il più acuto studioso di problemi del comunismo e del cattolicesimo in Italia, Augusto Del Noce, che nei suoi due volumi straordinariamente attuali - Il suicidio della rivoluzione e Il Cattolico comunista - diceva che i comunisti per arrivare al potere avrebbero venduto i loro valori fondamentali per trasformarsi in un grande partito radicale di massa.
L’ingresso di rappresentanti del Partito Radicale nelle liste del Partito Democratico compie questa sostanziale identificazione della forza egemone della sinistra con questa mentalità della quale, tutto si può dire, meno che sia una mentalità del popolo e al servizio del popolo.
Le conseguenze di questa mia posizione sono così evidenti che non vale nemmeno la pena di esplicitarle.
*Vescovo di San Marino-Montefeltro
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