sabato 19 aprile 2008

Il Papa all'ONU: te li dò io i dirittti umani

di Riccardo Cascioli


Con il discorso alle Nazioni Unite pronunciato il 18 aprile, il Papa ha ancora una volta spiazzato la maggior parte degli analisti. Era noto che avrebbe parlato di diritti umani, anche perché l’invito a parlare al Palazzo di Vetro coincideva proprio con il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Ma in molti si aspettavano che si soffermasse su sviluppo, ambiente, vita, famiglia, pace e così via. Argomenti che il Papa ha soltanto sfiorato, a titolo esemplificativo, andando invece al cuore del problema: cosa sono i diritti umani, qual è la loro radice, e qual è dunque il compito degli Stati.

Si tratta di un intervento che, pur nella morbidezza dei toni, è di una grande durezza e determinazione perché si tratta di una critica radicale al dibattito sui diritti umani così come viene condotto alle Nazioni Unite. La battaglia che le solite lobby e tanti governi (Unione Europea in testa) stanno conducendo oggi, ruota infatti intorno al tentativo di “ridefinire” i diritti umani legandoli ai contesti culturali, sociali e politici. E’ quello che accade con il tentativo di invocare un diritto universale all’aborto, e con il tentativo di considerare famiglia ogni genere di unione. Ma non solo: in Europa, ad esempio, aumentano le sentenze di tribunali che “giustificano” la violazione del nostro diritto in nome della cultura di provenienza degli immigrati islamici (vedi la poligamia e la violenza contro le donne). Ed è una visione che fa gioire anche la Cina e altri Paesi asiatici che hanno sempre invocato una propria, originale, concezione dei diritti umani a motivo della loro cultura (in realtà per giustificare l’oppressione dei propri popoli).

Il Papa ha spazzato via qualunque ambiguità al proposito: “I diritti umani sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà… Non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti”. Se si viene meno a questa concezione, ha detto il Papa, il risultato è il restringersi dei diritti umani, anche quando sembrerebbe che se ne voglia allargare l’ambito.
Il Papa è consapevole che alle Nazioni Unite sono rimasti ben pochi a sostenere che i diritti umani sono universali e fondati sulla legge naturale e – potremmo aggiungere – una spallata decisiva si sta portando sulla spinta dell’ideologia ecologista che pretende addirittura di cancellare la centralità dell’uomo quale criterio ultimo delle politiche globali (la Carta della Terra promulgata nel 2000 all’interno del sistema delle Nazioni Unite sostituisce i diritti dell’uomo con i diritti della comunità di vita, in cui uomini, animali e piante hanno gli stessi diritti).
Così il Papa chiama a "raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione (Universale dei diritti dell’uomo) e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari”.

Da questo punto di vista colpisce anche l’insistenza di Benedetto XVI sulla differenza tra legalità (ovvero norme volute da chi detiene il potere) e giustizia (che non cambia ed è l’unica fonte dei diritti umani). Proprio su questa distinzione poggia l’istituto dell’obiezione di coscienza che, ad esempio, l’Unione Europea amerebbe limitare o addirittura cancellare (ci ha provato anche il governo italiano uscente). Tutto il resto – la libertà religiosa, il ruolo della scienza, il superamento delle ineguaglianze, il rispetto del Creato, la promozione della famiglia – è una conseguenza ed è importante andarsi a rileggere l’intero discorso del Papa per cogliere l’intima unità tra tutti gli aspetti che riguardano la persona umana.

Un’ultima notazione: i rappresentanti dei 192 Paesi che hanno ascoltato il discorso, hanno tributato al Papa una “standing ovation” di un minuto: sembrerebbe contraddittorio considerando che in nome dei propri governi, gran parte di quei rappresentanti lavorano ogni giorni nella direzione contraria a quella indicata dal Papa. Escludiamo che si sia trattato di un applauso di circostanza, era troppo partecipato e sincero. Rimangono due possibilità: la prima è che non abbiano capito in realtà cosa abbia detto il Papa, ma escluderemmo anche questa ipotesi; sia perché il discorso era molto chiaro e senza giri di parole sia perché chi non capisce al massimo resta in silenzio o applaude giusto per educazione. Sicuramente non dedica una “standing ovation”. C’è dunque una sola spiegazione plausibile: che abbiano cioè applaudito non in rappresentanza dei propri governi, ma come persone che si sono sentite “lette” nel cuore, nel loro desiderio personale di giustizia e di libertà; che si sono sentite valorizzate nella loro dignità di uomini. In altre parole: hanno applaudito come uomini, non come rappresentanti; in nome della giustizia, non della legalità.

il TIMONE, 19 aprile 2008

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