Inutili le solite geremiadi contro le cose italiane: come se solo da noi la magistratura fosse spesso più un problema che una soluzione ai problemi. E’ così in tutti i Paesi che, nell’organizzare la cosiddetta «giustizia», si sono ispirati al modello giacobino, francese.
Un modello secondo il quale si diventa giudici —e arbitri— della vita altrui frequentando un’università e rispondendo poi a qualche quiz sui codici in un esame pubblico, aperto a tutti. Non era certo così nel modelloancien régime , conservato gelosamente dai Paesi anglosassoni, per i quali al giudice si richiedevano, e si richiedono, non solo conoscenze teoriche ma anche doti concrete di saggezza o almeno di buon senso, esperienza, sensibilità umana, rispetto per le tradizioni. Le parrucche dei tribunali inglesi, che fanno ridere gli sciocchi, sono il segno e ammonimento di questi valori.
Con magistrati così non sono pensabili decisioni come quella del procuratore generale di Bologna che — come è ormai ben noto — ha chiesto di archiviare la denuncia per vilipendio alla religione, visto che, codici alla mano, la sola bestemmia punibile è «contro la Divinità». E poiché Maria di Nazareth «non è una divinità», non c’è luogo a procedere contro chi la insulti. Così, questo «dottore», che precisa di essersi applicato a studi teologici per arrivare a simili conclusioni, che devono sembrargli segno di apertura, di modernità, di tolleranza. Oltre, s’intende, che di competenza — seppure rimediata per l’occasione — vista la sua applicazione su severi e complessi testi di materie religiose. Sui tecnicismi legali lascio ovviamente ogni responsabilità al procuratore, vista la mia situazione scolastica un po’ paradossale: in effetti, non ho competenze giuridiche specifiche, malgrado la mia remota laurea sia in giurisprudenza. Ma è una sorta di inganno: infatti, quando mi iscrissi a Scienze Politiche, queste erano appena state istituite, all’università di Torino, così da risultare un corso di laurea della facoltà di giurisprudenza.
Ai pochi esami di legge non ho fatto seguire approfondimenti della materia, per la quale sono dunque quasi un profano. Lo sono un po’ meno, invece, per quanto riguarda le discipline teologiche.
Manon occorre disturbare le Summae, basta il semplice catechismo per avere chiaro che sì, la Madonna (come la chiama il popolo) non è una «divinità » nemmeno per i cattolici e gli ortodossi che le tributano il culto che sappiamo. Maria è, in pieno, una donna ebrea, è una persona umana come ogni altra, tranne che per il singolare privilegio di essere stata preservata alla nascita dalle conseguenze del peccato originale (il dogma della Immacolata Concezione). In ogni caso, mentre soltanto alla Triade divina — Padre, Figlio Spirito Santo — è dovuta l’adorazione, aMaria spetta la venerazione, come a ogni altro «santo» o «beato », seppure in misura speciale e, in qualche modo, superiore.
Non una «divinità», dunque. Ma al divino strettamente, e misteriosamente, legata, tanto che nell’anno 431, in una memorabile seduta, il concilio ecumenico di Efeso la proclamòTheotokos : cioè, in greco «Madre di Dio». Non, dunque, madre soltanto dell’uomo Gesù di Nazareth ma del Cristo, in quanto vero uomo ma anche vero Dio. Nella prospettiva del credente, Madre e Figlio sono inestricabilmente legati, tanto che molto spesso la preghiera si rivolge a Lei perchè interceda presso di Lui. Il Rosario, la preghiera tradizionale per eccellenza del cattolico, consiste in decine di Ave Maria che, attraverso la mediazione dellaTheotokos giungano al Cristo cui ha dato carne. I grandi santuari che attirano folle sempre crescenti (sono tra le poche realtà cattoliche che non registrano flessioni), Lourdes, Fatima, Czestochowa, Guadalupe, Loreto e così via, sono luoghi prediletti da Dio perchè in essi la Madre si è manifestata.Si potrebbe continuare, ma ci pare basti: se questa è la situazione (nota a ogni credente, e per conoscere la quale non occorrono gli studi teologici del magistrato bolognese) è ben difficile sostenere che l’offesa alla Madonna non riguarda la «Divinità». Maria, lo ripetiamo, non è una «dea» ma, al contempo, come «Madre di Dio», è qualcosa di incomparabilmente maggiore. In ogni caso, la sensibilità dei devoti ha sempre avvertito con forza che ogni offesa a lei era un’offesa a quella Trinità che l’ha misteriosamente prescelta come strumento dell’incarnazione del Logos. Un sommesso consiglio, dunque: il prossimo magistrato che si occuperà di simili cose non consulti i teologi ma la vecchietta in chiesa, con il suo rosario e con quel suosensus fidei che intuisce quali siano i rapporti tra quella Signora e il Signore.
Corriere della Sera, edizione di Bologna, 31 luglio 2007
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