venerdì 22 agosto 2008

Con i Mille a Palermo e Napoli


II 5 maggio 1860 Garibaldi ed i suoi Mille partono da Quarto alla volta del Regno delle Due Sicilie.

Cavour è onnipresente e onniveggente e, mentre accredita il Piemonte come unico baluardo europeo contro la rivoluzione, guida le fila della rivoluzione italiana.

A ricordarlo è ancora una volta La Farina in un intervento al Parlamento del 19 giungo 1863: «La spedizione di Sicilia è uno degli atti più audaci e più rivoluzionari che sieno compiuti nella età moderna. Si era in pace col re delle Due Sicilie; non vi era dichiarazione di guerra; ambasciatori andavano e venivano da Napoli a Torino, ed in questo momento il partito capitanato dal conte di Cavour aiutò la spedizione con tutti i mezzi».

Cavour e la Società nazionale non sono i soli a parteggiare per l'impresa: ritornata in auge nel suo instancabile appoggio all'unificazione italiana, con la Francia che per il momento sta a guardare, c'è ancora una volta l'Inghilterra che fornisce a Garibaldi uomini, mezzi, consigli e soprattutto soldi.

Nell'aprile del 1864, mentre è accolto da trionfatore nel paese cui tanto deve, Garibaldi lo ammette senza esitazioni: «Senza l'aiuto di Palmerston, Napoli sarebbe ancora borbonica, e senza l'ammiraglio Mondy non avrei potuto giammai passare lo stretto di Messina».

Lo storico Adolfo Colombo chiarisce nel citato L'Inghilterra nel Risorgimento italiano a cosa Garibaldi si riferisca: «fu provvidenziale che la presenza di navi inglesi a Marsala facesse ritardare il bombardamento alle navi borboniche accorse ad impedire lo sbarco dei Mille; che un corrispondente del Times, l'ungherese Eber, fornisse Garibaldi di preziosissime informazioni che gli aprirono la via a Palermo e che l'ammiraglio inglese Mondy, facendosi mediatore fra Garibaldi ed i Borboni ottenesse la sospensione del bombardamento di Palermo e la firma di un armistizio favorevole a Garibaldi ed ai suoi successi futuri».

Con quali buone ragioni i Mille invadono il Regno delle Due Sicilie? I pareri a questo riguardo sono unanimi: a causa della barbarie del governo borbonico. Citiamo, a mo' di esempio, l'opinione di un alto grado della massoneria sarda, il «Venerabile» Filippo Delpino.

il 10 maggio 1860 all'inaugurazione della loggia Ausonia che abbiamo già ricordato, Delpino compiange, e lo fa con le stesse parole del re, la sorte di quei milioni di italiani che «gemono ancora sotto una dinastia maledetta da tutti per le sue fosche gesta, per la ferocia del suo assolutismo e per i suoi spergiuri».

Chi sono i Mille che salpano accompagnati dalle benedizioni dei liberali di tutti i continenti? Garibaldi li descrive così: «Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto».

Persone di tal fatta sgominano un'armata di 100.000 uomini: «Quando si vede un regno di sei milioni ed un'armata di 100 mila uomini, vinte colla perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuoi capire, capisca», così scrive Massimo D'Azeglio al nipote Emanuele il 29 settembre 1860.

Chi vuoi capire! Per provare a capire analizziamo tre autorevoli fonti di parte liberale: il Diario privato politico-militare dell'ammiraglio Carlo Pollion di Persano, l’Epistolario di La Farina, l'opuscolo Cavour o Garibaldi? di Pier Carlo Boggio.

Carlo Persano è l'ammiraglio che porta alla disfatta la flotta italiana a Lissa nel 1866. Incriminato, si difende rendendo pubbliche le sue gesta all'epoca dei Mille.

A quel tempo Persano svolge mansioni delicate: gestisce, per conto di Cavour, la corruzione sistematica dei quadri dell'esercito borbonico; organizza il rifornimento di uomini ed armi; è incaricato (insieme a La Farina) di marcare stretto Garibaldi sorvegliandone da vicino le mosse.

Qualche saggio del compito organizzativo che grava sulle spalle dell'ammiraglio: «Ho dovuto, Eccellenza - scrive a Cavour nell'agosto 1860 -, somministrare altro denaro. Ventimila ducati al Devincenzi, duemila al console Fasciotti, giusta invito del marchese di Villamarina, e quattromila al comitato [...] Mi toccò contrastare col Devincenzi, presente il marchese di Villamarina; egli chiedeva più di ventimila ducati; ed io non volevo neanche dargliene tanti». La politica di Cavour nei confronti degli ufficiali borbonici è della massima comprensione: «Mandi a Genova - scrive a Persano - quegli fra gli ufficiali di marina napoletani che hanno dato le loro dimissioni regolarmente. Non potrò forse dar loro subito un impiego, ma li rassicurerò sulle loro sorti».

Persano racconta che «Cavour aveva data facoltà di assicurare gradi e condizioni vantaggiose a coloro che promuovessero un pronunciamento della squadra borbonica in favore della causa italiana» e che in casi particolari aveva autorizzato «a spendervi qualche somma».

L'ammiraglio svolge bene il compito affidatogli e comunica a Cavour: «possiamo ormai far conto sulla maggior parte dell’officialità della regia marina napoletana».

Anche sul fronte delle armi fila tutto liscio: «noi continuiamo, con la massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, a tergo delle truppe napoletane». Persano è preoccupato solo per la qualità degli uomini che arrivano dal continente: «Converrebbe tener gli occhi ben aperti — scrive a Cavour - sulle spedizioni degli individui che da noi si fanno per qui, e veder modo di ritenere molta gentaglia che muove per queste contrade a nessun altro scopo, se non per quello di pescar nel torbido».

Il risultato di questa sistematica infiltrazione in tutti i gangli vitali della nazione napoletana è il miracolo che stupisce il patriota Ippolito Nievo. Il romanziere veneto così scrive alla sua Bice: «Che miracolo! Ti giuro, Bice! Noi l'abbiamo veduto e ancora esitiamo quasi a credere». Succede l'incredibile: i picciotti «fuggivano d'ogni banda; Palermo pareva una città di morti; non altra rivoluzione che sul tardi qualche scampanìo.

E noi soli 800 al più, sparsi in uno spazio grande quanto Milano, occupati senz'ordine, senza direzione (come ordinare e dirigere il niente?), alla conquista d'una città contro 25 mila uomini di truppa regolare, bella, ben montata, che farebbe la delizia del ministro La Marmora! Figurati che sorpresa per noi straccioni!».

Lo «straccione» Nievo finisce in fondo al mare con la sua nave, carico di tutti i documenti e le ricevute dell'enorme flusso di denaro che accompagna la calata dei Mille in Italia meridionale.

I documenti giacciono ancora sotto una morbida coperta di acqua.

FONTE: Ducexius no. 31

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