domenica 3 agosto 2008

Per il parlamento spagnolo siamo tutti grandi scimmie

Nuova rivoluzione spagnola: il progetto grandi primati

Avvicinare gli oranghi all'uomo e annullare lo «specifico»…

di Marina Corradi


La magna charta degli oranghi potrebbe essere la nuova rivoluzione della Spagna di Zapatero. La Commissione ambiente del Parlamento ha approvato a larga maggioranza, escluso solo il Partito popolare, una risoluzione che invita il governo ad aderire entro quattro mesi al 'Progetto Grandi Primati', iniziativa internazionale tendente appunto a riconoscere il diritto alla vita e alla libertà alle scimmie antropoidi (orangutan, scimpanzé, gorilla e bonobo, per la precisione). Il Governo spagnolo dovrà farsi promotore del Progetto presso la Ue.

Forse è una giornata storica. La comunità dei soggetti aventi diritto ai Diritti dell’uomo si amplia alle scimmie. Con cui, ci ricordano illustri scienziati a partire da Umberto Veronesi, condividiamo oltre il 95 per cento del patrimonio genetico. Si potrebbe discutere sulle differenze derivanti da quel 5% di Dna diverso, tale che – almeno così pare a noi ignoranti – un orango non è esattamente un uomo. Ma potrebbe essere una discussione oziosa. Il punto è un altro.

Il punto è che, come ha detto Joaquin Arujo, il presidente del Progetto Grandi Primati, «in fondo siamo tutti grandi scimmie». Cioè la tendenza in realtà non è la 'promozione' degli animali a uno status e a una tutela umana, quanto la negazione di una fondamentale differenza, e la sostanziale equiparazione del bonobo all’homo sapiens.

È questo che inquieta, nella rivoluzione di Madrid. Si trattasse solo di imporre rispetto della vita per gli oranghi, beh, d’accordo, al massimo ricordando che milioni di uomini muoiono di fame. Si trattasse solo di difendere gli scimpanzé, se ne potrebbe approfittare per spezzare una lancia anche per gli embrioni di uomo che vengono pure in Spagna clonati «a fine terapeutico» o selezionati per avere un figlio sano. E magari per quei bambini al settimo mese di gravidanza abortiti in alcune cliniche catalane, nella tacita indifferenza delle autorità. Insomma, la battaglia per la tutela del primate, in sé, potrebbe tornare utile per chiedere un po’ di rispetto anche per l’uomo.

Ma il fatto è che, a sentire il leader del Progetto Grandi Primati, la prospettiva spagnola è altra: «in fondo, siamo tutti grandi scimmie». Siamo tutti animali. Il punto qualificante allora di questa rivoluzione a prima vista folkloristica, è una cosa seria: è la negazione della differenza e della unicità dell’uomo nel creato. C’era una volta un uomo fatto «a immagine e somiglianza» di Dio, e per questo, nella concezione ebraico cristiana che ha fondato l’Occidente, degno di un assoluto rispetto e titolare di libertà inalienabili. Ma se, nella dittatura del relativismo, si afferma l’idea che siamo tutti scimpanzé, il principio potrebbe avere qualche ricaduta sgradevole. Qualche svista o fastidiosa dimenticanza sul rispetto dell’uomo. Per esempio, la magna charta dei gorilla lodevolmente esclude che si possano fare sui primati ricerche scientifiche che possono arrecare danno. Domanda: e le sperimentazioni dei farmaci oggi testati su questi animali, come avverranno? Sugli uomini magari – volontari, certo, estratti in quel Terzo Mondo che per mangiare si vende anche un rene. Se «siamo tutti grandi scimmie», l’orango vale quanto un poveraccio del Bangladesh. E, vogliamo parlare di clonazione cosiddetta terapeutica? Se passasse universalmente il Progetto Grandi Scimmie, gli embrioni di gorilla sarebbero naturalmente tutelati. Quelli di uomo, no.

È la consueta contraddizione di un ecologismo disposto a tutto per i pinguini, ma stranamente ostile all’uomo. Ostile a quel 5 per cento di Dna diverso, a quell’irriducibile fattore di libertà e coscienza che è l’uomo. L’idea di fondo non è la tutela dell’orango. L’idea di fondo è negare l’uomo.

Avvenire, 27 giugno 2008

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